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Venti morti, nove sono italiani

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Venti morti, nove sono italiani

Venti vittime, delle quali nove italiane, sette giapponesi, tre bengalesi e un’indiana. Tredici ostaggi risparmiati perché conoscevano il Corano e poi salvati dal blitz delle forze speciali del Bengala, che ha ucciso sei terroristi e catturato un militante.

L’attacco al caffè Holey Artisan Bakery e all’adiacente ristorante O’Kitchen, nel quartiere diplomatico di Dacca, in Bangladesh, si è chiuso con un intervento in forze della polizia iniziato alle 7.40 della mattina (erano le 3.40 in Italia) e terminato tre ore dopo. I negoziati erano infatti falliti, mentre un primo tentativo di entrare nel ristorante, nella notte, si è chiuso con la morte di due poliziotti.

Secondo le ricostruzioni della polizia, i militanti, tutti bengalesi, sono entrati nel locale - eludendo la rigida sorveglianza all’intero quartiere - venerdì alle 20.45 locali armati di machete, armi d’assalto e bombe. Al grido di «Allahu Akhbar», dio è grande, hanno bloccato circa 35 persone, hanno ordinato ai bengalesi di restare in piedi e hanno poi ucciso gli stranieri che non sono riusciti a recitare versetti del Corano. Una ragazza bengalese sarebbe stata comunque uccisa perché vestita in abiti occidentali, secondo la testimonianza della nipote del console generale di Milano Ahmed Rezina, che invece è sopravvissuta. Molte delle vittime sono state uccise con «armi affilate», secondo la polizia bengalese, probabilmente machete. Anche una ragazza indiana, studentessa a Berkeley, sarebbe stata uccisa durante l’attacco, insieme a due studenti della Emory University di Atlanta: una ragazza di Miami e un ragazzo di Dacca. Tra gli ostaggi salvati c’è un argentino, un giapponese, ferito, e due cingalesi mentre il cuoco italiano, Jacopo Bioni■ è scappato dal tetto.

Tutte le vittime italiane erano legate al settore tessile, che genera in Bangladesh un fatturato di 26 miliardi e copre il 15% dell’economia: è il secondo esportatore al mondo di abbigliamento dopo la Cina. Nadia Benedetti, 52 anni, viterbese, era direttore generale della StudioTex, controllata di un gruppo britannico; era al ristorante, con due colleghi friuliani Cristian Rossi, 47, business manager per la Feletto Umberto, padre di due gemelle di tre anni, e Marco Tondat, 39 anni, di Cordovado, supervisore, padre di una bambina di cinque anni. Claudio Cappelli, di Vedano al Lambro, possedeva un’azienda che produceva soprattutto t-shirt, magliette, ma anche intimo, aveva una figlia di sei anni. Vincenzo D’Allestro, 46 anni, era nato in Svizzera ma proveniva dal casertano e abitava ad Acerra; viaggiava spesso in tutto il mondo per conto di un’impresa tessile. Claudia Maria D’Antona, 56 anni, di Torino, era titolare della Fedo trading con il marito Giovanni Boschetti, che è riuscito a nascondersi all’esterno del caffè per ore e ha poi trovato la moglie trucidata con un machete. Simona Monti, 33 anni, di Magliano Sabina, era incinta di poche settimane, e lavorava per unazienda tessile dopo essersi laureata in lingue e civiltà orientali. Adele Puglisi, 54 anni, di Catania, era manager per il controllo di qualità per la Artsana. Maria Riboli, 33 anni, di Alzano Lombardo, e madre di una bambina di tre anni, era in viaggio per lavoro.

Molte tra le vittime italiane erano state invitate da Ishrat Akhond, una donna d’affari bengalese - anch’essa uccisa dai terroristi - che aveva organizzato una cena per imprenditori tessili del nostro paese, forse cinque persone. Sotto il loro tavolo, a quanto sembra, è esplosa una granata.

Molte delle vittime giapponesi erano invece consulenti per un’organizzazione che si occupa di aiuti umanitari.

L’attentato è stato rivendicato già venerdì sera dall’Isis, ma non è stato ancora confermato il legame tra i terroristi e lo stato islamico anche se l’Isis sui suoi siti ha postato presunte foto delle vittime scattate all’interno del ristorante. Le autorità bengalesi negano da tempo che esistano legami operativi tra militanti locali, raggruppati nelle due organizzazioni di Ansar-al-Islam (che rivendica un’affiliazione con al-Qaida) e Jamaat-ul-Mujahideene, sedicente rappresentante dell’Isis. «La realtà - ha spiegato Michael Kugleman del The Wilson Centre di Washington - è che il Bangladesh è pieno di militanti e radicali locali, spesso senza alcuna affiliazione, ma pronti a lanciare attacchi in nome dell’Isis» L’attentato segna comunque un’escalation nei crimini di matrice religiosa, finora limitati all’attacco di singole persone.

Il primo ministro Sheikh Hasina ha dichiarato due giorni di lutto nazionale. «È stato un gesto estremamente odioso - ha detto - Che razza di musulmani sono, queste persone?». Hasina ha poi aggiunto che il paese resisterà e combatterà «la minaccia del terrorismo». L’11 maggio il leader del partito islamista Motiur Rahman Nizami è stato impiccato per genocidio e altri crimini commessi nel ’71 durante la guerra di indipendenza contro il Pakistan.

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