Il lavoro è il lavoro. E il non-lavoro è la disoccupazione. La disoccupazione è una tragedia, ma è difficile stabilirne i confini. E poi ci sono i disoccupati scoraggiati (quelli che hanno rinunciato a cercare un lavoro, tanto non si trova...), i disoccupati incoraggiati (quando l'economia inizia a riprendersi gli scoraggiati ricominciano a cercare lavoro...). Ma comunque la si guardi, la disoccupazione, oltre a essere una tragedia personale, è anche uno spreco: spreco di talenti, di capitale umano. Per uscirne contano le istituzioni del mercato del lavoro. La determinazione del salario – il prezzo del lavoro – ha un grande ruolo, così come le regole che incorniciano il rapporto di lavoro. Se è troppo difficile licenziare, le imprese tenderanno a non assumere, e la disoccupazione aumenta. Oppure si crea un precariato, e il mercato del lavoro si biforca in una categoria di lavoratori molto protetti e in una categoria di non protetti.
La via maestra per combattere la disoccupazione si biforca anch'essa. Da un lato, c'è la domanda. Se in un Paese, come in Italia e in Europa, non c'è abbastanza domanda, a causa di politiche economiche restrittive e/o a causa di una diffusa sfiducia nel futuro, le imprese non investono e non assumono. Ecco che lo stimolo alla domanda, sia che venga da politice economiche espansionistiche, sia che venga da governanti illuminati che sappiano infondere fiducia, diventa una delle due vie maestre. L'altra sta nell'istruzione e nella formazione, nell'offerta di lavoro. Molta disoccupazione dipende da un disallineamento fra le abilità di coloro che cercano lavoro e le abilità offerte da un sistema educativo-formativo che ha perso contatto col mondo del lavoro. Un dato cruciale è quello della disoccupazione giovanile, che in Italia non è lontana dal 40% dei giovani in età di lavoro (che non siano studenti). Se non viene sanata questa piaga, avremo una generazione disillusa e scoraggiata, facile preda di ideologie anti-sistema, che predicano vie d'uscita radicali e illusorie.
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