E ora sulle pensioni comincia la partita vera. Calato, per il momento, il sipario sulla prima “tranche” di incontri ufficiali, il confronto tra Governo e sindacati prosegue a fari spenti almeno fino alla metà di agosto. Con l’obiettivo di individuare una soluzione il più possibile condivisa. Anche se, quando si arriverà al momento decisivo, ovvero il varo della prossima manovra di bilancio autunnale, a decidere sarà autonomamente Palazzo Chigi. Ma per cercare di evitare strappi, nelle prossime settimane saranno probabilmente attivati mini-tavoli tecnici informali anzitutto per accorciare ulteriormente le distanze sui punti su cui Governo e Cgil, Cisl e Uil sono già più vicini, come l’ampliamento della no tax area dei pensionati, la riduzione dei costi delle ricongiunzioni e le misure specifiche per “precoci” e lavori usuranti. Ma il confronto tecnico servirà anche per sciogliere almeno una parte dei nodi del progetto di Ape, Anticipo pensionistico, confezionato dalla cabina di regia economica di Palazzo Chigi, guidata dal sottosegretario alla Presidenza, Tommaso Nannicini, anche con il contributo del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. A cominciare da quello dell’effettivo contributo dello Stato, con conseguente calibratura delle detrazioni fiscali, per compensare, soprattutto a favore dei disoccupati di lungo corso e dei lavoratori in condizioni particolarmente disagiate, la decurtazione dell’assegno anticipato rispetto alla pensione “piena” potenziale.
I nodi assicurazioni e banche. Le altre questioni aperte restano il costo del premio-assicurativo contro il rischio di pre-morienza, l’effettivo ruolo degli istituti di credito nel meccanismo dell’erogazione del prestito “pensionistico-bancario” e le ricadute sulla legge Fornero. Che i sindacati vorrebbero modificare. E che invece per il Governo resta un provvedimento da preservare nella sua interezza (l’Ape agendo con un “prestito” non toccherebbe minimamente la riforma Fornero) anche per evitare uno stop di Bruxelles.
L’incognita costi. Il tutto con la grande incognita delle risorse da individuare. Per l’Ape sarebbe sufficienti 500-700 milioni nel 2017 ma occorrerebbe poi trovare almeno altri 300-700 milioni, a seconda delle opzioni scelte, per estendere (in versione “mini”) la no tax area per i pensionati, ridurre i costi delle ricongiunzioni, introdurre i correttivi per “precoci” e usuranti e affrontare subito il capitolo delle indicizzazioni, le cosiddette rivalutazioni, visto che il dispositivo-Letta si esaurirà a fine 2017.
Ipotesi pacchetto ad hoc per gli “statali”. Ma dal confronto tecnico a fari spenti sono destinate a emergere anche alcune novità. Come ad esempio un pacchetto ad hoc per garantire l’Ape anche agli “statali”, tenendo conto delle leggere differenze che attualmente permangono in parte sulle “uscite” e in toto sulle liquidazioni, accantonate figurativamente nel pubblico impiego sotto forma di Tfs. Ape che dovrebbe essere usufruire anche dagli “autonomi”. Altre novità potrebbero arrivare sulla Rita (Restituzione integrativa temporanea anticipata).
«Tan» e premio assicurativo. Sotto la lente dei tecnici del Governo e dei sindacati c’è soprattutto l’effetto dell’Ape sugli assegni anticipati degli “over 63” (si dovrebbe partire con i nati tra il 1951 e il 1953) tenendo conto delle diverse categorie di appartenenza. Che dovrebbero essere tre: disoccupati di lungo corso, lavoratori interessati da processi di ristrutturazione aziendale e uscite volontarie. Il Governo non ha ancora scoperto del tutto le carte. Ma le simulazioni elaborate dal Sole 24 Ore e pubblicate il 24 giugno scorso, confermano come l’assegno percepibile grazie all’anticipo con il prestito “pensionistico-bancario” possa variare per effetto di vari parametri: dall’Ape richiesto (tetto massimo 95% dell’ipotetica pensione di vecchiaia maturata) e dall’entità della pensione “piena” potenziale fino al tasso annuo nominale (Tan) sull’Ape stesso (che noi abbiamo ipotizzato al 3% tenendo conto dell’andamento dei tassi pre-Brexit) e all’assicurazione contro il rischio pre-morienza (con la nostra simulazione viene ipotizzato un premio del 30% sul valore dell’anticipo pensionistico). Sulla scelta del Tan occorrerà ora vedere anche le eventuali ricadute di Brexit sui mercati finanziari. Per il premio assicurativo è probabile che, anche sotto la spinta del confronto esecutivo-sindacati, alla fine si possa scendere a una quota più bassa (ad esempio il 25%).
Disoccupati di lungo corso con “penalità” al minimo. Il meccanismo dell’Ape consentirebbe l’uscita anticipata agli “over 63”, garantendo maggiormente, grazie a detrazioni fiscali robuste, i disoccupati di lungo corso e i lavoratori in condizioni disagiate a basso reddito senza comunque intaccare la riforma Fornero. In assenza di una “curva” precisa relativa alle detrazioni fiscali, per le nostre simulazioni è stato ipotizzato più genericamente un contributo dello Stato con vari gradi di incidenza sulla base di quattro figure tipo di beneficiari: Giovanni, che è un disoccupato senza più ammortizzatori sociali o con reddito basso; Federica, che è un’impiegata coinvolta in un piano di ristrutturazione aziendale; Mario è invece un lavoratore nato tra il 1951 e il 1953, come i suoi colleghi, ma non si trova in situazione di difficoltà e vuole autonomamente optare per l’anticipo sapendo di poter contare su una pensione piena lorda di 2.615 euro. Tra le opzioni c’è anche quella di Laura, che si trova nell’identica situazione di Mario ma ha però maturato una pensione quasi doppia (circa 5mila euro lordi). Il costo dell’Ape, come rata media spalmata sui venti anni di rimborso, oscillerebbe da circa l’1,4% l’anno per Giovanni (la cui pensione lorda è di 1.212 euro) a circa il 2,8% l’anno per Federica (pensione lorda maturata di 2.000 euro e un contributo dell’impresa del 40%) fino a quasi il 5% (precisamente poco meno del 4,9%) l’anno per Mario e al 4,6% per Laura per un anticipo di tre anni.
No tax area e rivalutazioni. In uno dei tre incontri ufficiali già svolti, Governo e sindacati si sono trovati sostanzialmente d’accordo sulla necessità di valutare (compatibilmente con le risorse disponibili) un ampliamento della no-tax area, allo stato prevista fino a 8mila euro per i soli pensionati “over 75” e ad affrontare rapidamente il nodo nodo indicizzazioni. In quest’ultimo caso si punta alla “veloce” revisione del dispositivo-Letta (cinque fasce e copertura solo fino al 50% delle pensioni tra 5 e 6 volte il minimo) che cesserà di funzionare alla fine del 2017. Con conseguente ritorno, in assenza di nuove misure, alla perequazione su tre fasce prevista dalla legge 338/2000.
«Precoci» e lavori usuranti. Nei round di giugno, di fronte al pressing dei sindacati, il Governo si è anche reso disponibile a dare una soluzione alla questione del pensionamento anticipato per i cosiddetti lavoratori precoci. Sempre l’esecutivo di è detto pronto a valutare alcune modifiche mirate per ampliare la platea dei lavoratori usuranti esclusi dai requisiti pensionistici previsti dalla legge Fornero.
L’opzione «Rita». Le prossime settimane serviranno a prendere una decisione anche su un’altra ipotesi sul tavolo: l’adozione della Rita. La Rendita integrativa temporanea anticipata dovrebbe consentire al lavoratore “over 63”, che abbia aderito alla previdenza complementare e sia intenzionato a utilizzare la flessibilità-pensioni, la possibilità di incassare parte della pensione integrativa per ridurre l’impatto dell’Ape. Con il “vantaggio” di ridurre (anche dimezzare) il “prestito” pensionistico-bancario che consentirebbe di usufruire dell’assegno previdenziale anticipato.
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