
La scuola cattolica di Edoardo Albinati (Rizzoli), nonostante le sue 1300 pagine, ha sbaragliato tutti vincendo con 143 voti la settantesima edizione del Premio Strega. Eraldo Affinati ne ha presi 92 con L'uomo del futuro (Mondadori), tre in più di Vittorio Sermonti, autore di Se avessero (Garzanti). Il cinghiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci (minimum fax) si è fermato a 46 voti e La femmina nuda di Elena Stancanelli (La nave di Teseo) a 25.
Presenza ingombrante che con la sua mole giganteggia sfrontato - covando al suo interno il delitto del Circeo che Albinati visse da vicino perché compagno di classe del fratello minore di Angelo Izzo, uno dei rampolli della borghesia romana che nel 1975 stuprarono e seviziarono due ragazze, uccidendone una - La scuola cattolica è un libro con cui bisogna fare i conti.
La prima tentazione è sbarazzarsene. Leggere quanto basta per liquidarlo. Si presume una vittoria facile - quanti romanzi possono reggere tale lunghezza? - e ci si trova invece coinvolti in un corpo a corpo che diventa un abbraccio torturato e appassionato cui non si riesce e non si vuole più sottrarsi. Si ride e si sorride molto, si pensa ancora di più, si nicchia, si dissente, ci si vorrebbe talvolta azzuffare con il molto presente autore che occhieggia sornione dalla quarta di copertina e ha pure l'insolenza - dopo aver teorizzato una natura masochistica per l'umanità - di voler provare la sua tesi sulla pelle altrui suggerendo che deve essere quello il motivo per cui non abbiamo ancora interrotto la lettura di cotanto malloppo. Si è tentati, talvolta, di correre più velocemente tra le righe, ma poi si viene ripagati con pagine di pura bellezza, come quelle che descrivono adolescenza e preadolescenza con una sensibilità acutissima. E anche quando, per cause di forza maggiore si ripone il tomo per settimane, il dialogo prosegue silenzioso e convince a riprendere in mano quel blocco di materia, vivente come ogni vera letteratura, come ogni vera arte.
“Era il libro che aspettavo da tanti anni. Ho sempre pensato che Albinati fosse il migliore scrittore della mia generazione”
Sandro Veronesi
I protagonisti della Scuola cattolica sono tanti, tra questi il Quartiere Trieste - culla ovattata degli assassini e della scuola privata dove studiarono con Albinati («un universo in miniatura: omogeneo, liscio, privo di appigli, di nicchie dove nascondersi essendo esso stesso un rifugio») - e la borghesia, resasi improvvisamente conto «che una intera vita costruita solo sulla ragionevolezza non garantiva un bel niente, anzi, aveva finito per spalancare le porte proprio a ciò cui doveva sbarrarle: l'irragionevole, il pazzesco» («Si racconta che i villaggi africani, calata la notte, vengano assediati fin sulla porta delle case dallo spirito del selvatico. È come se col buio la savana riprendesse possesso di quello che l'uomo le ha sottratto alla luce del giorno, illudendosi di averlo conquistato per sempre. Lo stesso accadde al Quartiere Trieste»). Ma protagonisti sono anche gli anni 70 e l'età che precede quella adulta o la presunta natura maschile e quella femminile e il loro tormentato rapporto, soprattutto quando la cultura divide i generi fin da bambini. Oltre all'autore, naturalmente, che è parte di un romanzo che forse, come scrive Andrea Cortellessa, è «il tentativo più coraggioso possibile, da parte sua, di fare una buona volta i conti, non tanto cogli anni Settanta e i loro mostri, ma col mostro che incontra tutte le mattine allo specchio» e che pure, caparbiamente, vuole essere amato. Romanzo che può essere anche un grandioso e non completamente riuscito, per ammissione stessa dell'autore, tentativo di prendere coscienza e dunque forse liberarsi dall'educazione cattolica che lo ha plasmato da bambino, capendo anche che effetto questa può aver avuto nel dar forma a tutta la società.
La scuola cattolica è una riflessione sul limite - quello del godimento e della sofferenza («nell'essere gonfi d'amore non si sperimenta l'irreversibile dissoluzione del confine tra piacere e dolore?» e ancora, capovolto, «il dolore supremo somiglia o addirittura è identico al piacere in un punto: la fuoriuscita da sé») - e quelli degli uomini in generale e dell'autore in particolare. In ultima analisi, è una riflessione sui confini, questa volta paradossali, della libertà: «la materia di questo libro è tutta qui, nella domanda: quanto eravamo liberi? Liberi da cosa? Liberi di fare cosa?». Una domanda posta partire dall'età della libertà per antonomasia, l'adolescenza, col suo carico di strazio e euforia.
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