«Se non ci decidiamo a impiantare questi doppi binari, noi soffochiamo lo sviluppo dell’industria, del commercio e del traffico» ferroviario. Il problema del binario unico e delle ferrovie in Puglia, alla ribalta oggi dopo il tragico scontro dei due treni a Corato, è lungo cent'anni. E, ieri come oggi, ha interessato il dibattito parlamentare. Coinvolgendo all’epoca anche la Camera dei deputati del Regno d’Italia. Era lunedì 12 giugno 1911, una giornata come tante altre, di 105 anni fa.
L’intervento del 1911 sullo stato delle ferrovie pugliesi
Un vecchio ritaglio di giornale datato 1911 - gelosamente conservato per anni da un mio amatissimo zio, poi perso nel corso di un trasloco, ma restato nella memoria di mio cugino Claudio Gallì - è stato lo spunto per andare a caccia nell’Archivio storico di Montecitorio del discorso alla Camera dei deputati del mio bisnonno, Giovanni Ravenna, deputato dal 1909 al 1913, nella XXIII legislatura del Regno d’Italia. Un intervento che proprio allo stato delle ferrovie pugliesi e alle difficoltà del viaggio sul binario unico era dedicato.
Si discuteva delle spese del ministero dei Lavori pubblici
L’occasione era la discussione sullo stato di previsione della spesa del ministero dei Lavori pubblici per l’esercizio finanziario dal 1° luglio 1911 al 30 giugno 1912. Prima del mio bisnonno, il deputato fiorentino Giovanni Celesia Di Vegliasco aveva sottolineato come ci fossero in Liguria interventi urgentissimi da fare, come la «costruzione dei doppi binari». Il ritardare «la costruzione di questi doppi binari equivale a uno sperpero di ricchezza». All’epoca negli atti parlamentari erano stati quantificati «binari urgenti» per 450 milioni di lire, dei quali 300 milioni «urgentissimi». E il solo raddoppio di binario in Liguria sarebbe costato 150 milioni di lire.
«Le ferrovie finiscono a Lecce»
«Onorevole ministro, altri potrà chiederle, nella discussione di questo bilancio, di doppi binari o di binari nuovi, e forse avrà ragione di farlo, io le chiedo semplicemente che quei binari che esistono nell’estremo Salento funzionino razionalmente», fu l’attacco dell’intervento del deputato Giovanni Ravenna, già sindaco di Gallipoli. «Le ferrovie, possiamo dirlo senza tema di smentita, finiscono a Lecce – spiegò - perché effettivamente fino a Lecce si hanno i collegamenti diretti coi grandi centri. Da Lecce in poi si è serviti dall’esercizio economico: così la Lecce-Zollino-Gallipoli, la Lecce-Zollino-Otranto a Sud del capoluogo, la Francavilla-Novoli-Nardò al Nord-Ovest». Treni che per il regolamento dell’epoca avrebbero dovuto viaggiare a 35 chilometri all’ora, dichiarò, ma che, orario alla mano, andavano «a una velocità di appena 20 chilometri». I ritardi erano dovuti, più che alla velocità dei treni, alle lunghe soste legate alla carenza di manovali. Con il binario unico, infatti, i manovali dovevano far girare sulla piattaforma le automotrici per consentire l’aggancio dei vagoni e la partenza dei treni. Per andare da Lecce a Gallipoli e a Otranto «occorre - dichiarò - un tempo infinito e ciò arreca un danno gravissimo all'economia dei paesi posti a Sud del capoluogo».
Il viaggio in Puglia nel 1911
Ecco il racconto del mio bisnonno di un viaggio in Puglia cento anni fa, tratto dagli Atti parlamentari della XXIII Legislatura del Regno d’Italia.
«Proprio qualche giorno fa, onorevole ministro, il treno non poteva partire da Zollino, stazione centrale che al contrario manca anche di una pensilina che ripari dalle intemperie e dalla canicola i viaggiatori che ivi si accumulano per i trasbordi, perché mancavano i manovali che dovevano fare girare sulla piattaforma una di quelle famose automotrici. Mi affacciai allo sportello e chiesi che cosa si aspettasse. Mi si rispose che i due operai addetti a quella stazione erano occupati altrove.
Dunque due operai in una stazione dove contemporaneamente quattro volte al giorno coincidono quattro treni.
Orbene, si rimase mezz'ora fermi in stazione e quando i due manovali completarono il servizio di un altro treno, come Dio volle, si girò l'automotrice, si attaccò al treno e si partì.
Ed a proposito di queste automotrici (rifiutate altrove perché insufficienti), v’ha chi dice che si siano piazzate sui nostri binari al solo scopo di poterne giustificare la spesa enorme sostenuta per costruirle. E le han mandate precisamente là dove il viaggiatore paga, è mal servito e tace.
Le automotrici troverebbero la loro ragione d’essere nel forte risparmio del carbone.
Orbene, mentre una volta partiva un treno da Lecce trainato da macchina ordinaria e poi a Zollino si sdoppiava per Gallipoli e per Otranto, con le automotrici, invece di far partire da Lecce un solo treno, ne partono due, dappoichè queste macchine hanno forza di trazione assai limitata.
E come vede, onorevole ministro, le automotrici che dovrebbero rappresentare una economia sono dispendio maggiore. Ma forse, ella ignora questi piccoli dettagli, poiché ha problemi ben più gravi da risolvere, per aver tempo di pensare a codeste incongruenze.
Per andare da Lecce a Gallipoli e ad Otranto occorre un tempo infinito e ciò arreca gravissimo danno all'economia dei paesi posti a Sud del capoluogo. Eccone un esempio: i negozianti settentrionali che una volta affluivano durante la campagna vinicola nei nostri paesi per gli acquisti delle nostre uve, da quando abbiamo l'esercizio economico si arrestano per le loro provviste nei paesi posti a Nord di Lecce, perché essi dicono che andare oltre Lecce significa perdere tutta una giornata. (…)
Onorevole ministro, forse ella non avrà occasione di visitare quei luoghi, o se mai, vi andrebbe in carrozze che servono a trasportare i dignitari dello Stato. Ma se il suo spirito democratico giungesse al sacrificio di voler viaggiare come i poveri mortali, eviti di sedere al centro della carrozza, perché il suo abito ne uscirebbe imbrattato per lo stillicidio che fa l’olio messo ad alimentare la piccola fiammella centrale; e si guardi bene dal sedere agli angoli perché pei vetri abitualmente rotti o mancanti soffia la poco piacevole tramontana. Come vedono, onorevoli colleghi, per quanta buona volontà egli potesse avere, il ministro non troverebbe posto in quelle carrozze.
Più volte, onorevoli colleghi, fu lamentato questo stato di cose. La Camera di commercio di Lecce, l'Associazione commerciale di Gallipoli, i Consigli comunali sono ormai stanchi d'inviare petizioni e proteste, chè mai nulla si è fatto, e nulla forse potrà farsi fino a che non si faccia intendere alla Direzione generale delle ferrovie che le lontane terre salentine sono anch'esse abitate da cittadini italiani e non da beoti.
E se questo non vorrà intendersi venga una buona volta il Ministero delle comunicazioni. Allora il Parlamento avrà effettivamente di fronte un ministro il quale, conscio della propria responsabilità, non potrà fare una politica ferroviaria al Nord ed un'altra al Sud».
(Intervento del deputato Giovanni Ravenna, già sindaco di Gallipoli - Tratto dagli Atti Parlamentari della Camera dei deputati del Regno d’Italia - XXIII Legislatura - Tornata di lunedì 12 giugno 1911)
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