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Prende corpo lo spettro di una «guerra civile»

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L'Analisi|nizza

Prende corpo lo spettro di una «guerra civile»

Una strage, l’ennesima, compiuta da parte di un cittadino europeo di fede islamica e di origine nordafricana, a Nizza – pochi chilometri oltre il confine, città italiana fino al 1860, e residenza di decine di migliaia di nostri compatrioti – il 14 luglio, festa nazionale francese, festa dei valori fondanti dell’Europa, festa dell’umanità intera che si riconosce nella più sacra delle trinità: Liberté, Egalité, Fraternité.

Da questa sommaria descrizione si coglie immediatamente come il macello attuato la notte tra giovedì e venerdì non potrà non avere conseguenze importanti anche sulla politica italiana. Le dichiarazioni delle prime ore già ci parlano di uno shock molto forte. Il “mostro” si avvicina: se Parigi è idealmente nel cuore di tutti, Nizza è fisicamente dietro l’angolo. Al di là delle reazioni più prevedibili e muscolari degli esponenti della Lega Nord, colpisce che un uomo, che rappresenta la quintessenza della pacatezza e della moderazione come l’ex premier Enrico Letta, abbia esplicitamente parlato di un vera e propria “guerra civile”. L’immagine è peraltro ricorrente in molti commenti ed evoca lo spettro che possa ridursi lo spazio della tolleranza reciproca all’interno delle nostre società.

Gli italiani non si sono mai sentiti “neutrali” nella lotta contro il terrorismo islamista. Ma a lungo si sono illusi che non si trattasse di una guerra e comunque di poter vivere in una sorta di “santuario”, protetti dallo stellone, dalla Madonna o, più prosaicamente dall’efficienza dei nostri servizi e dalla “prudenza” con cui il governo combatte contro Daesh in Siria o in Iraq.

Forse le cose non stanno più così. Forse anche gli italiani iniziano a capire che l’espressione “guerra civile europea” si avvicina assai meglio a descrivere la realtà che non la più gettonata “terza guerra mondiale a pezzi”. Dopo Parigi, Bruxelles, Dacca e Nizza, probabilmente anche noi italiani cominciamo a comprendere che siamo tutti bersagli potenziali.

D’altronde, se è verosimile che proprio la possibile caduta di Raqqa, capitale del califfato apostata di al-Bagdadi, stia spingendo i vertici di Daesh all’attuazione di una nuova (vecchia) strategia, fondata non più sull’importazione di jiahdisti dall’Occidente ma sull’esportazione del Jihad in Occidente, dobbiamo aspettarci da questa nuova campagna (e in parte la stiamo già vedendo) una spirale di attentati che necessariamente mieterà vittime specialmente tra gli occidentali piuttosto che tra i musulmani (come invece finora è accaduto).

Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che anche i terroristi responsabili delle prossime azioni jiahdiste proverranno probabilmente dalle comunità islamiche europee, come stupirsi del rischio di una guerra civile evocata da tanti in queste ore?

Per scongiurarne il rischio non basteranno gli appelli (pur doverosi) a non generalizzare, al dialogo, all’integrazione. Neppure saranno sufficienti generiche, doverose e sicuramente sincere dichiarazioni di solidarietà e vicinanza alla Francia. Rispetto alla quale l’Italia ha il vantaggio di avere una comunità islamica molto più piccola, di formazione più recente e finora meglio integrata. Guai a mettere a rischio questo equilibrio con atteggiamenti discriminatori. Ma guai anche a fingere di non vedere che l’aumento improvviso e incontrollato dei numeri non possa metterlo altrettanto a repentaglio. Questo è il momento di cercare unità e condivisione concreta dei valori repubblicani. Senza timidezza o falsi pudori. È giunta l’ora di offrire e chiedere di più ai musulmani che vivono in Italia: non perché debbano fornire una “prova speciale” della loro fedeltà ma perché solo grazie al loro aiuto potremo, prima o poi, sconfiggere il mostro del terrorismo islamista che minaccia tutti noi, al di là della fede che tutti possiamo liberamente professare o non professare.

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