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Niente censure, ma il terrorismo va spiegato con lucidità

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l’analisi

Niente censure, ma il terrorismo va spiegato con lucidità

La frequenza con cui si verificano gli attacchi terroristici di matrice islamista contro bersagli occidentali induce a porsi interrogativi legittimi sulle modalità con cui darne conto. Da un lato esiste il rischio che la semplice, dettagliata copertura di episodi che presentano elementi di ferocia estrema e che si nutrono di una disumanizzante cultura dell’odio possa amplificare la paura, l’intolleranza verso tutti i musulmani complessivamente presi, la xenofobia. Dall’altro proprio una simile preoccupazione finisce col reiterare quella cultura tartufesca che rende così difficile chiamare le cose per quelle che sono, e che tanto danno ha fatto, alimentando la diffidenza del grande pubblico verso i mass media tradizionali, gettati, tutti insieme, nel calderone di quell’establishment nei confronti del quale è in atto, in tutto l’Occidente, una vera e propria rivolta.

Non c’è dubbio che un episodio come quello verificatosi ieri in Baviera, di un profugo afghano minorenne che ha assalito inermi viaggiatori al grido “allah u akbar!”, non può che portare acqua al mulino di chi sulla paura e sulla xenofobia ha deciso di investire politicamente, concorrendo a far crescere quella cultura di diffidenza e chiusura nei confronti dell’altro che sempre più sta avvelenando la nostra civile convivenza. La copertura mediatica degli episodi terroristici, oltre tutto, può oggettivamente fare anche il gioco delle centrali islamiste del terrore – da al-Qaeda a Daesh – la cui propaganda si nutre proprio dell’amplificazione mediatica delle stragi e degli assassinii.

La censura però, anche quando autoimposta, non è mai e mai può essere, la risposta giusta. Non lo era durante le guerre mondiali, quando finiva per rendere inattendibile il bollettino trasmesso dall’Eiar, e non lo sarebbe neppure in questa nuova guerra che ci è stata dichiarata da chi spera di fomentare, al nostro interno, una guerra civile nel nome di dio. Ma poi, e soprattutto, non avrebbe alcun senso in un’era dominata dai social media, dal citizen journalism, e dall’autoproduzione diffusa delle notizie e dell’informazione. La stessa vicenda di Daesh ci ricorda come il macabro successo planetario del gruppo di al-Baghdadi sia in larga misura legato allo sfruttamento della rete.

L’unico effetto di un’autocensura sarebbe quello di lasciare i singoli cittadini, al di là delle competenze possedute, un po’ più soli e smarriti nell’affrontare la grande paura. Siamo sicuri che sia questo ciò che vogliamo ottenere? Vogliamo che i nostri lettori e concittadini si “affidino” esclusivamente all’informazione “fai da te” della rete, dove chi la spara più grossa ha più follower o più tweet? Non sembra il caso. Semmai occorre fare il contrario: fornire quante più analisi, commenti, opinioni fondate possibili, anche in concorrenza le une con le altre, per consentire che i lettori riescano a farsi la “loro” idea di ciò che sta succedendo, ma a partire da elementi il più possibile “certificati”, per così dire. Ogni altra scelta rappresenterebbe una fuga dalle responsabilità che pertengono a chi fa informazione professionalmente.

È vero che nel caso della diffusione delle immagini degli sgozzamenti e delle decapitazioni, praticamente tutti i media occidentali hanno scelto di non mostrarle o trasmetterle. Ma questa è stata una decisione assunta con l’idea di non alimentare un voyeurismo della morte che è fin troppo diffuso ai nostri giorni e per non farsi imporre dall’assassino-produttore il palinsesto della nostra quotidianità. Scegliere di escludere la pubblicazione o la messa in onda di certe immagini rimanda all’invettiva polemica che oltre un decennio orsono Giovanni Sartori lanciava contro l’homo videns. È giusto ricordare che la chiarezza delle immagini, apparente ma non per questo meno perentoria, spesso sopraffà la più faticosa elaborazione delle informazioni. Ma ciò riguarda esclusivamente il modo in cui viene fornita la notizia. È l’immagine che nella sua ferocia assoluta rischia di cannibalizzare l’informazione; è la messa in scena quasi teatrale della morte che finisce con il rendere impossibile persino la sua contestualizzazione. Ecco, qui è il punto e la conclusione di queste poche considerazioni: per evitare lo spettro della guerra civile europea, è nostro dovere fornire quegli elementi di contestualizzazione che rendano possibile elaborare il trauma
di questi atti tremendi compiuti
da miserabili assassini che cercano di coprire la loro vergogna
col nome di dio.

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