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Strappi senza bussola in un Parlamento «superato» dagli orientamenti …

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politica 2.0

Strappi senza bussola in un Parlamento «superato» dagli orientamenti del Paese

Renato Schifani lascia il partito di Alfano, si dimette da capogruppo al Senato e considera fallito il progetto politico di ricostruzione del centro destra. La notizia di ieri non ha alcun effetto o conseguenza nel Paese ma si aggiunge allo stillicidio che è in atto nel Parlamento in cui ogni gruppo ha perso pezzi. Parlamento - a sua volta - largamente superato da ciò che nel frattempo è accaduto. Le Camere di oggi rappresentano un mondo del 2013 che non c’è più: nel Pd non c’è Bersani ma Renzi, il centro-destra si è diviso in tre parti, i 5 Stelle hanno acquistato più forza con le ultime comunali e la vittoria a Roma e Torino, il centro non ha praticamente alcuna rappresentanza popolare anche se è in grado di mettere in crisi il Governo al Senato.

Quasi nessun gruppo parlamentare, fatta eccezione per il Movimento di Grillo e la Lega, può specchiarsi nella nuova realtà di oggi e dunque le Camere proiettano un’immagine distorta della rappresentanza. Riflettono orientamenti e consensi che non ci sono più e sono abitate da protagonisti che non hanno più l’appeal di qualche anno fa. Se si pensa che Renato Schifani fino al 2013 è stato presidente del Senato mentre ora esce dal gruppo di Ap per mettersi in stand by si capisce bene che è passata un’era geologica.

Ma il punto non è solo la disaggregazione che è avvenuta e sta avvenendo ma l’assenza – al momento – di qualsiasi operazione politica che rimetta la colla a quelle lacerazioni. E infatti Schifani lascia ma per andare dove? Quasi certamente verso il Cavaliere ma lui dove vuole portare Forza Italia? Lo stillicidio, insomma, per ora è senza senso. Sono strappi senza bussola in partiti senza più voti o almeno senza più quei voti che erano del centro-destra o del centro che pure nel 2013 con Monti arrivò al 10 per cento. Schifani che lascia, Verdini che raccoglie Zanetti e qualche altro, perfino in casa dell’Udc ci si separa ma sono i classici numeri che non si contano ma si pesano. Perché nel Paese non contano ma a Palazzo Madama pesano. Tant’è che i due disegni di legge sulla tortura e sulla prescrizione si arenano.

Un Senato che si impalla ma che trova il quorum quando si tratta di tenere in vita il Governo. Questo Governo e certamente un qualsiasi Governo futuro se Renzi dovesse cadere. È come se le Camere si fossero trasformate in una grande sala d’attesa in cui una vasta area di parlamentari sosta in cerca di qualcuno che rimetta insieme una sigla di partito per le prossime elezioni. È sempre più difficile che un Parlamento così poco rappresentativo potrà reggere fino la fine della legislatura. Ed è complicato che potrà produrre qualcosa di più di una legge di stabilità e un ritocco all’Italicum magari aiutato dai suggerimenti della Consulta che si dovrà esprimere in autunno.

Con il referendum, anche se dovesse passare e avere la promozione popolare, si chiuderà comunque una stagione politica. Perché anche l’Esecutivo rappresenta una realtà molto lontana. Quella stessa che si dissolve in Parlamento ma che trova ancora al Governo il partito di Alfano o i componenti di Scelta civica poi convertiti al Pd. Una coalizione virtuale che fa fatica a reggersi e farebbe fatica a reggere situazioni più complicate finora solo sfiorate.

I tempi che si affacciano non sono propriamente semplici. Il premier è giustamente preoccupato per l’appuntamento di fine mese con gli stress test delle banche italiane. Non è un passaggio privo di rischi così come le nuove previsioni al ribasso sulla crescita cambiano le prospettive per la legge di stabilità. Le scelte, insomma, potrebbero non essere semplici. Anche a questo servono parlamenti dotati di forte rappresentanza popolare.

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