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Enti locali e decreto Ilva i prossimi scogli

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Enti locali e decreto Ilva i prossimi scogli

  • –Manuela Perrone

ROMA

I tre decreti legge in scadenza, la nuova legge di bilancio che dovrebbe mandare in soffitta la legge di stabilità, il ddl sul lavoro autonomo e agile, la lotta al caporalato. E le “vittime” già sul tappeto: dopo il reato di tortura, rinviato sine die, slitta a settembre insieme alla riforma del processo penale e della prescrizione anche l’approdo in Aula del ddl concorrenza, fermo da ottobre scorso in commissione Industria, e si allungano i tempi in commissione Affari costituzionali per la riforma dell’editoria. È una vera gimkana quella che la maggioranza deve affrontare in Senato prima della pausa estiva, con la zavorra degli addii dentro il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. E con il Pd che cammina sulle uova per evitare ogni insidia.

Troppo esigui i numeri a Palazzo Madama per rischiare, pure sui singoli emendamenti: la maggioranza assoluta si raggiunge con 161 voti e la scorsa settimana è stata ampiamente superata per il ddl sugli equilibri dei bilanci di regioni ed enti locali, che è arrivato a 184 voti a favore. Ma la maggioranza balla sempre sul filo dei 160: il Jobs Act, a suo tempo, passò con 166 sì, la stabilità 2016 con 162, l’omicidio stradale con 149. Prima della pausa estiva i senatori si aspettano almeno due fiducie: sul decreto Ilva e sul dl enti locali, che oggi sarà varato dalla Camera. L’incognita politica è chiara: il caos tra i centristi potrebbe far diventare per la prima volta determinante il sì della pattuglia dei dieci senatori capitanati da Denis Verdini? Se così fosse, fa notare un senatore della minoranza dem, Renzi sarebbe costretto a salire al Colle e aprire la crisi.

Tempi stretti anche per un altro decreto, quello che proroga al 1° gennaio 2017 l’entrata in vigore del processo amministrativo telematico: deve ancora arrivare da Montecitorio e scade il 28 agosto.

In Senato si va alla conta. Anche ieri le fibrillazioni in casa Ncd sono continuate e si è allargata la pattuglia dei senatori pronti a uscire dal gruppo. Insieme a Renato Schifani, che due giorni fa si è dimesso da capogruppo, prendono le distanze (ancora ufficiosamente) i due senatori a lui più vicini: Antonio Azzollini e Giuseppe Esposito. E ieri alla riunione che ha eletto la nuova capogruppo, Laura Bianconi, presente Alfano, si sono consumate altre rotture: hanno disertato (oltre a Schifani, Azzollini ed Esposito) Luigi Marino, Aldo Di Biagio e Antonio De Poli (Udc). Insieme con Pier Ferdinando Casini, che però non mette in discussione l’appoggio a Renzi. Marino ha lasciato l’incarico di vicepresidente vicario Ncd. Circolava il suo nome per prendere il posto di Schifani, ma la scelta è caduta su una senatrice che, secondo i critici , conferma la scelta di restare “appiattiti” sul Pd di Matteo Renzi .

Alfano ha cercato di serrare i ranghi, incontrando in serata anche i deputati e annunciando una no stop di 24 ore dei gruppi su legge di bilancio e sì deciso al referendum. Chiara la linea: restare compatti fino alla consultazione e intanto riaggregare l’area di centro in una nuova forza da lanciare già a settembre, aprendo a Forza Italia senza la Lega.

«Siamo un gruppo fondamentale per la sopravvivenza di questo governo», ha comunque sottolineato Bianconi, lasciando intendere che i numeri in Senato ci saranno. Per ora, nessuno dei sei senatori dissidenti mette in discussione il voto con la maggioranza. La ministra della Salute Beatrice Lorenzin, la più filo-renziana dei centristi, rassicura: «Non vedo pericoli. Dobbiamo rimanere concentrati sull’attività di riforma. Dobbiamo rimanere uniti come Paese e come governo e lavorare con rigore e con il dovuto sacrificio». Sullo sfondo, il futuro del centrodestra e la partita della legge elettorale: il premio di coalizione anziché alla lista e l’eliminazione del ballottaggio potrebbe far rientrare molti malumori.

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