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Il Senato «salva» Berlusconi, lite Pd-M5S

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Il Senato «salva» Berlusconi, lite Pd-M5S

ROMA

L’Aula del Senato, votando contrariamente a quanto deciso in Giunta per le immunità, «salva» Silvio Berlusconi e dice no alla richiesta del Tribunale di Milano di poter utilizzare nel processo Ruby-ter le 11 intercettazioni tra il Cavaliere e le ragazze del caso Ruby, le cosiddette «olgettine». Sotto il manto del voto segreto, come per altro accade spesso in casi analoghi, le indicazioni dei partiti (per il sì alla richiesta si erano espressi sia il Pd che il M5S) non hanno tenuto: 120 sì, 130 no e 8 astenuti. Tenendo conto delle assenze nel Pd (17) e tra i grillini (11) e del fatto che 4 senatori dem hanno dichiarato di aver sbagliato a votare, alla fine i presunti “traditori” tra Pd e M5S si riducono ad una manciata. Eppure subito dopo il voto nell’Aula di Palazzo Madama esplode la bagarre, con i senatori del Pd e quelli del M5S che si accusano a vicenda di inciucio con il leader di Forza Italia e di intelligenza con il nemico, tanto che il presidente Pietro Grasso è costretto a interrompere la seduta.

A bagarre finita, la polemica continua fuori dall’Aula e sui social network. Il presidente dei senatori dem Luigi Zanda scommette sulla compattezza del suo gruppo e rilancia la palla nel campo avversario paragonando il voto di oggi nientemeno che a quello del ’93, «quando la Lega Nord salvò Bettino Craxi». Rincara la dose il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti che accusa i grillini di «manovre sporche». Secondo i democratici le defezioni grilline in favore di Berlusconi sarebbero state il frutto di un accordo con Fi per «salvare» anche il senatore grillino Mario Michele Giarrusso, accusato di diffamazione e sul quale l’Aula avrebbe dovuto votare in mattinata (la richiesta di rinviare il voto per l’impedimento di Giarrusso ad essere presente in quanto in missione con l’Antimafia è in effetti votata anche da Fi, ma alla fine il voto slitta lo stesso per via del Bilancio del Senato da approvare). Mentre secondo i grillini le defezioni dei democratici sarebbero state studiate apposta per non inimicarsi del tutto Forza Italia in vista della difficile prova del referendum di novembre sulle riforme. La verità sta probabilmente nel mezzo: una parte dei grillini potrebbe aver approfittato del voto segreto per gettare scompiglio nel campo opposto, mentre la tradizione “garantista” è ben presente e non da ora in una parte del Pd.

Come che sia, se l’effetto del voto doveva essere quello di ingraziarsi gli azzurri in vista del referendum di novembre per ora non è stato ottenuto: proprio ieri i capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani, per una volta uniti, hanno presentato «il manuale ufficiale del dipartimento Formazione di Forza Italia per i Comitati del No». Per il No alla riforma Boschi si è espresso anche l’Udc nella persona di Lorenzo Cesa (Pier Ferdinando Casini è invece su posizioni governative) spaccando ulteriormente il fronte dei centristi dopo le dimissioni di Renato Schifani da capogruppo di Alleanza popolare (la formazione che in Parlamento riunisce Ncd e Udc). Ieri Angelino Alfano è corso ai ripari: i senatori hanno eletto per acclamazione Laura Bianconi come nuova capogruppo. Ma i senatori dell’Udc e lo stesso Schifani non hanno partecipato al voto. Schifani, critico verso l’«appiattimento su Renzi» di Alfano e descritto come in procinto di lasciare il gruppo in direzione di Forza Italia, ha dalla sua parte i senatori Azzollini ed Esposito. E anche Formigoni e Sacconi sono per una “sterzata” a destra. Tuttavia, in una situazione di evidente sfilacciamento dell’area centrista in Senato, tra gli alfaniani è alta la preoccupazione di nuove defezioni. Anche se Alfano stesso rassicura: «Il gruppo è compatto». L’obiettivo del ministro dell’Interno, contrario a riunirsi a Fi per mettere su un centro destra con Matteo Salvini, è quello di tenere la barra fino al referendum per poi chiedere a Matteo Renzi un tagliando di governo: principale richiesta la modifica dell’Italicum con il premio alla coalizione invece che alla lista. Una soluzione che a suo modo di vedere potrebbe anche far rientrare molte voci critiche all’interno di Alleanza popolare.

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