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Intervento pubblico (se serve) dopo il mercato

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Intervento pubblico (se serve) dopo il mercato

  • –Beda Romano

ROMA

È con sollievo che la Commissione europea sta accogliendo i più recenti segnali italiani che lasciano presumere un salvataggio privato, e non pubblico, delle banche nazionali in difficoltà. A una settimana dalla pubblicazione dei risultati dei prossimi stress-tests, i contatti tra Roma e Bruxelles proseguono. Sul tavolo dei negoziati del governo italiano e dell'esecutivo comunitario resta l’ipotesi di aiuti pubblici da utilizzare nel caso la mano privata non sia disponibile o si riveli insufficiente.

Per lunghe settimane, il governo italiano ha fatto pressione per ottenere una sospensione del burden sharing (vale a dire le norme europee che prevedono un contributo degli investitori privati nel salvataggio pubblico di una banca). Dinanzi alle ferme obiezioni comunitarie, Roma sta ormai riflettendo a una soluzione privata che eviterebbe, o ridurrebbe, l'applicazione da parte della Commissione delle controverse regole sugli aiuti di Stato nel settore bancario.

Nel frattempo, il negoziato tra Roma e Bruxelles continua perché l’ipotesi di aiuto pubblico non può essere esclusa del tutto: può essere utile sia nel caso l’operazione privata non sia sufficiente a coprire la carenza di capitale messa in luce dai prossimi stress-tests; sia come garanzia perché le ricapitalizzazioni effettuate dalla mano privata abbiano successo. «Così è avvenuto in Grecia nel 2015 quando quattro banche del Paese hanno avuto bisogno di soldi», spiega un esponente comunitario.

Alla fine del 2015, mentre la Grecia continuava ad avere difficoltà finanziarie, quattro istituti di credito – National Bank of Greece, Alpha, Eurobank e Piraeus – necessitarono di denaro fresco. Come prima cosa, le banche si rivolsero ai mercati, munite di garanzie pubbliche. «In quella occasione – racconta l’esponente comunitario – gli obbligazionisti delle banche accettarono volontariamente di convertire i loro titoli in azioni, partecipando all’aumento di capitale».

Nel caso di Alpha e di Eurobank, la ricapitalizzazione avvenne totalmente grazie al mercato. Non ci fu intervento dello Stato per aiutare le due banche e non ci furono quindi neppure perdite imposte agli investitori, ossia azionisti e obbligazionisti subordinati, così come vogliono le regole europee. La sola esistenza delle garanzie pubbliche avrebbe dovuto in teoria far scattare il burden sharing. Così non fu, sia per evitare un impatto sproporzionato, sia perché nella pratica le garanzie non furono usate.

I casi di Piraeus e della National Bank of Greece si svilupparono in modo alquanto diverso. Nonostante una operazione di raccolta di fondi sul mercato, le due banche continuarono ad avere una grave carenza di capitale: pari a 2,72 miliardi di euro e a 2,71 miliardi di euro, rispettivamente. La Commissione europea fu quindi chiamata ad autorizzare una iniezione straordinaria di denaro pubblico, tanto che in questo caso ci fu burden sharing.

L’esempio greco – 5,4 miliardi di aiuti pubblici, 8,6 miliardi di denaro privato - potrebbe essere un modello per l’Italia, se Roma decidesse di seguire la strada della ricapitalizzazione per mano privata. Comunque, esponenti comunitari hanno spiegato più volte che le regole europee possono permettere di evitare un impatto eccessivo per gli investitori non istituzionali, se questi al momento della vendita delle obbligazioni subordinate sono stati raggirati (si veda Il Sole/24 Ore del 3 luglio).

In varie circostanze, la Commissione ha fatto capire di essere consapevole che dietro alle incertezze del governo sui salvataggi bancari vi è la paura di imporre impopolari e controverse perdite ai risparmiatori a ridosso del prossimo referendum sulla riforma del Senato. Si può presumere quindi che Bruxelles considererebbe lecito l’annuncio in contemporanea dell’applicazione del burden sharing e dell'ipotesi di un possibile rimborso attraverso, per esempio, formule di arbitrato.

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