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Pensioni, «uscita-precoci» con 41 anni di contributi

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Pensioni, «uscita-precoci» con 41 anni di contributi

  • –Marco Rogari

ROMA

Un pacchetto di misure quasi definite e una serie di nodi ancora da sciogliere. Con un’incognita: la dote realmente utilizzabile in autunno, che al momento oscilla attorno agli 1,5 miliardi in attesa di una decisione definitiva del Governo destinata ad arrivare non prima di settembre. Prende sempre più forma il piano pensioni sviluppato dalla cabina di regìa economica di palazzo Chigi sotto la guida del sottosegretario alla Presidenza, Tommaso Nannicini, che punta anzitutto a introdurre l’Ape, l’anticipo pensionistico per gli “over 63” finanziato con un prestito bancario assicurato rimborsabile in 20 anni e gestito dall’Inps. E il lavoro dei tavoli tecnici con i sindacati ha contribuito a individuare diverse soluzioni di massima. Come quella che si va profilando per i cosiddetti lavoratori «precoci», ovvero coloro che hanno iniziato a lavorare, e dunque hanno versamenti contributivi, già tra i 14 e i 18 anni di età: un bonus contributivo di 4 o 6 mesi l’anno per questi primi anni con l’obiettivo di consentire loro il ritiro anticipato anche con “soli” 41 anni di contributi complessivi. In questo caso la misura arriverà se il “paletto” sarà stretto: si ragiona su “precoci veri” con non meno di uno o due anni pieni di versamenti negli anni giovanili, altrimenti la platea dei beneficiari diventerebbe troppo grande.

Le altre ipotesi più avanzate riguardano le ricongiunzioni gratuite dei contributi versati in diverse gestioni e la semplificazione dei requisiti per i lavoratori impiegati in mansioni “usuranti” (dal 2011 al 2015 sono riusciti a pensionarsi con i requisiti ridotti solo 2mila lavoratori sugli 11mila che hanno presentato domanda). Ma anche altre opzioni avanzano in vista del nuovo round politico Governo-sindacati annunciato tra fine luglio (probabilmente il 29) e inizio agosto. È il caso dell’estensione del bacino della “no tax area” di cui attualmente possono beneficiare i pensionati “under 75” con un reddito inferiore ai 7.750 euro annui e gli “over 75” con assegni annuali non superiori agli 8mila euro. L’idea è di alzare il tetto per tutti i pensionati a 8.124 euro allineandolo a quello già previsto per i lavoratori dipendenti. Una misura nata come alternativa a quella sul rafforzamento delle 14esime per i pensionati, che però sembra ora destinata a marciare autonomamente. La sua collocazione nel pacchetto previdenza da inserire nella prossima manovra autunnale potrebbe dipendere solo dalla reale dote disponibile, che per 600 milioni sarebbe già ipotecata dall’Ape e che potrebbe risentire della scelta di allargare la platea (o aumentare “l’assegno”) delle 14esime.

Ma quello della decisone sulle 14esime non è il solo nodo da sciogliere. Una delle questioni aperte resta la calibratura delle detrazioni fiscali con cui dovrà essere compensata, almeno per i lavoratori in condizione più disagiata, la decurtazione dell’assegno anticipato garantito con il prestito “pensionistico-bancario” rispetto a quello “pieno” potenziale. Diverse le “curve” all’esame dei tecnici. Con una certezza: i lavoratori che decideranno di uscire volontariamente e saranno in possesso di un reddito medio-alto non dovrebbero usufruire di alcuna detrazione. Un altro punto sensibile è il confronto con la Ue sulla gestione contabile dell’Ape che, con il coinvolgimento diretto dell’Inps nel ruolo di erogatore formale dell’assegno anticipato, potrebbe produrre un effetto di maggiore spesa previdenziale con un impatto diretto sul fabbisogno. Per superare questo ostacolo si ragiona sul ruolo che giocherà Inps nel meccanismo Ape, magari delimitato solo a ente certificatore e non anche erogatore dell’anticipo.

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