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Roma punta sulla flessibilità Ue per compensare la minore crescita

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L'Analisi|l’analisi

Roma punta sulla flessibilità Ue per compensare la minore crescita

Per far fronte all’effetto del rallentamento dell’economia sui conti pubblici, la strada è invocare nuova flessibilità in sede europea. Se la trattativa andrà a buon fine, i margini di bilancio che sarà possibilie ottenere dalla Commissione Ue serviranno a far lievitare il deficit del 2017 oltre l’asticella dell’1,8% fissata lo scorso 18 maggio, quando Bruxelles ha approvato la legge di stabilità per l’anno in corso, concedendo flessibilità per lo 0,85% del Pil, pari a circa 14 miliardi. Giudizio sospeso, tuttavia, con ulteriore verifica fissata a novembre, quando si tratterà di ricalibrare le stime alla luce del nuovo scenario macroeconomico che il Governo definirà a fine settembre con la Nota di aggiornamento al Def.

La gelata sulla crescita deriva dal peggioramento del ciclo economico internazionale, ultima la Brexit, come ormai riconoscono sia il Fmi che la Banca d’Italia e i principali previsori interni e internazionali. Il che comporta per noi la revisione al ribasso del target 2016 (che dal programmato 1,2% scivolerà intorno allo 0,8%, lo stesso valore del 2015) e del 2017, con il Pil rivisto attorno all’1% contro l’1,4% del quadro programmatico definito ad aprile. Una contrazione dello 0,4% della stima di crescita sia per l’anno in corso che per il prossimo comporterà l’inevitabile aumento di debito e deficit. Nel primo caso, pare ormai sostanzialmente fuori portata la possibilità di centrare l’obiettivo del 132,4%, rispetto al 132,7% del 2015. La discesa del debito slitterebbe così al prossimo anno. Per il deficit, la partita si giocherà essenzialmente con la prossima legge di bilancio relativamente al nuovo target, che certamente oscillerà in una forchetta compresa tra il 2 e il 2,2%.

Lo scarto rispetto alla precedente stima, pari a circa 6 miliardi, dovrebbe essere compensato grazie alla flessibilità europea, da invocare facendo leva nuovamente al combinato delle circostanze eccezionali quali emergono per effetto della frenata dell’economia mondiale ed europea e dell’ulteriore margine da accordare grazie alla clausola per gli investimenti, di cui il Governo ha fruito quest’anno per lo 0,3% del Pil (4,8 miliardi). In teoria, per raggiungere il massimo dello 0,5% previsto per ogni clausola dalla comunicazione sulla flessibilità del gennaio 2015, vi sarebbe un altro 0,2 %. Trattativa tutta da istruire e da perfezionare da qui a metà ottobre, quando verrà presentata la nuova manovra, nella veste della legge di bilancio prevista dalla riforma che sta per ricevere il definitivo via libera da parte del Senato. Sub iudice l’entità della correzione per il 2017, che stando alle raccomandazioni approvate in giugno dalla Commissione Ue, dovrebbe attestarsi almeno allo 0,6% del Pil, dunque attorno ai 10 miliardi. Evidente che il mantenimento tout court di tale impegno limiterebbe ulteriormente i già esigui margini a disposizione per finanziare gran parte delle misure in cantiere, tutte dirette a sostenere la fragile ripresa: dagli interventi sul fronte previdenziale all’Ace, dalla conferma del taglio dell’Ires (già finanziato) agli ulteriori interventi sul costo del lavoro (come stabilizzare la decontribuzione triennale per i neo assunti avviata nel 2015?).

Il compito della prossima legge di bilancio si sintetizza così: conciliare il rispetto (se pur con nuova dose di flessibilità) degli impegni assunti in sede europea con le politiche (anch’esse urgenti e necessarie) dirette al sostegno della domanda interna. Il tutto al netto della variabile politica legata all’esito della consultazione referendaria di autunno.

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