C’è un rallentamento della dinamica economica che impone un’attenzione rafforzata sulla fiscal stance dell’Italia e la composizione della manovra d’autunno. Quest’anno, secondo le stime convergenti di diversi osservatori (ultimo, due giorni fa, l’Ufficio parlamentare di bilancio), la crescita del Pil si fermerà sotto la soglia dell’1%, due o tre decimali in meno di quanto previsto dal Governo nel Def dello scorso aprile (+1,2%). E ieri l’agenzia di rating Fitch ha abbassato ulteriormente l’asticella: +0,8% nel 2016, un decimale sotto l’ultima correzione del Fondo monetario. Si tratta di circa 6-7 miliardi in meno da mettere sul tavolo del confronto con Bruxelles per ottenere la nuova flessibilità (un defici/Pil più alto dell’1,8 ipotizzato in maggio, magari sopra il 2-2,2%) che è a questo punto indispensabile per confermare i tanti obiettivi previsti per il prossimo anno.
La strategia del Governo resta quella di sostenere con tutti i mezzi possibili la debole crescita in corso e rafforzarla nel rispetto dei vincoli di bilancio. Il problema è che questi vincoli ora si sono fatti ancora più stretti. Vedremo il 12 agosto cosa dirà la stima preliminare Istat sul Pil del secondo trimestre. Ma già sappiamo che sugli ultimi sei mesi dell’anno lo shock Brexit comincerà a far sentire i suoi effetti e già sappiamo che questi effetti si allungheranno sul 2017, anno in cui il quadro programmatico fissava un Pil in crescita dell’1,4%. In questo difficile scenario il presidente del Consiglio ha già annunciato un rafforzamento del superammortamento per gli investimenti in beni strumentali e un’estensione del patent box. Mentre è già nei tendenziali la riduzione dell’Ires dal 27,5% al 24% a partire da gennaio (vale 2,9 miliardi). E poi c’è la prevista abrogazione delle clausole di salvaguardia su Iva e accise, che valgono altri 15 miliardi nel primo anno. Tra queste poste già fissate o in via di definizione (che cosa si deciderà sulla decontribuzione per i nuovi contratti o sui premi di produttività?) si colloca l’intervento sulle pensioni. Le misure riguardano lavoratori dei primi anni Cinquanta che puntano a un pensionamento più flessibile e pensionati con un assegno basso che potrebbero ottenere qualche risorsa in più. Interventi che non mettono in discussione le regole e i requisiti generali del nostro sistema contributivo e che potrebbero essere seguiti da un’interessante “fase due”. Dopo la legge di Bilancio potrebbero essere presi in esame per interventi di aggiustamento dossier che spaziano dall’indicizzazione delle pensioni agli adeguamenti automatici dei requisiti all’aspettativa di vita, dalle gestioni Inps riordinabili alla previdenza complementare, anche in questo caso per aumentare la flessibilità di accesso a un sistema che ha molte criticità (oltre alla bassa adesione su 7,2 milioni di lavoratori che hanno una posizione in un fondo pensione, 1,8 milioni non versano più contributi da anni). È una prospettiva di riforma importante e che merita una giusta «dote», ma deve essere compatibile con tutte le altre misure per la crescita attese con la nuova legge di Bilancio.
© Riproduzione riservata