Di fronte alla condizione delle strade nella Capitale e al rischio costante di emergenza sanitaria che circonda i rifiuti abbandonati lungo i marciapiedi, i numeri dei bilanci possono sembrare secondari. Sono proprio queste cifre, invece, a raccontare molti dei problemi strutturali dell’igiene urbana a Roma, e anche i tentativi faticosi di rimettere in sesto una macchina troppo spesso schiacciata da pressioni che con la qualità del servizio hanno poco a che fare.
I numeri, si sa, non fanno sconti, e raccontano prima di tutto che i cittadini romani per i rifiuti spendono molto più di chi abita a Milano o Torino. Nel preventivo di quest’anno, approvato dalla gestione commissariale guidata dal prefetto Tronca, il Campidoglio ha messo a bilancio per la gestione dei rifiuti poco meno di 830 milioni di euro: per ogni abitante della Capitale fanno 288,9 euro all’anno, cioè il 32,6% in più dei costi a carico di ogni residente a Milano, mentre la differenza sale al 42,2% se il confronto viene effettuato con Torino. Nel 2015 la spesa ha iniziato a invertire la rotta, riflettendosi anche in un taglio dell’1,5% medio inedito per la tariffa dei romani, ma la Capitale rimane da record. A spingere i costi c’è anche una struttura del personale più pesante rispetto alle “concorrenti” (nel caso di Amsa, poi, bisogna tener conto del fatto che l’azienda oltre a Milano serve altri 12 Comuni dell’hinterland), oltre ovviamente alla complessità del territorio: Roma, ricorda l’Ama nell’ultimo rendiconto, ha un’estensione di 1287 chilometri quadrati, e la somma di Milano (182kmq), Bologna (141) e Torino (130) «costituisce solo il 30% della superficie comunale» della Capitale. Oltre alle difficoltà geografiche ci sono poi quelle di contesto: è vero, come ha ricordato ieri la sindaca Raggi, che Ama «ha oltre 600 milioni di debiti», ma nel bilancio ci sono anche parecchi crediti fra i quali 408 milioni attesi dal «controllante»: il Comune.
I tanti cassonetti che in queste settimane sembrano abbandonati al loro destino, ma anche la più generale situazione media dei quartieri romani, non giustificano comunque la differenza con le altre grandi città, e infatti i romani non la pagano volentieri. Il finanziamento del servizio è garantito dalla Tari, ultima metamorfosi di una tassa sui rifiuti che negli ultimi anni ha cambiato parecchie volte nome e forma, ma nella Capitale le riscossioni effettive vanno a rilento.
Per averne la prova basta girare lo sguardo a un altro gruppo di cifre, quelle degli incassi, da mettere a confronto con il valore del contratto di servizio che guida i rapporti fra il Comune e l’azienda dei rifiuti. Il contratto di servizio rappresenta infatti il grosso dei costi sostenuti dal Comune, e il suo valore serve a misurare la tariffa presentata alle famiglie, che deve coprirli integralmente. A Milano e Torino i due valori viaggiano appaiati, e mostrano al massimo qualche scostamento fisiologico che viene recuperato negli anni successivi; a Roma invece, come accade anche a Napoli, le entrate registrate l’anno scorso dal Siope, il censimento telematico del ministero dell’Economia sui flussi di cassa delle pubbliche amministrazioni, si fermano sotto al 70% rispetto al costo del contratto. Il Siope, però, non distingue gli incassi di competenza, che cioè arrivano nello stesso anno in cui sono scritti a bilancio, e quelli ereditati dagli esercizi precedenti: per trovare quest’ultimo dato bisogna avventurarsi nelle 393 pagine della relazione all’ultimo rendiconto del Campidoglio, dove si scopre che poco più del 15% delle somme accertate nel 2015 è arrivato davvero in cassa nello stesso anno, mentre il resto si è trasformato in «residui», cioè in arretrati da “recuperare”.
Un quadro del genere è dipeso anche dalle tante incertezze che a Roma hanno caratterizzato le regole per la riscossione, affidata a fine 2014 a un soggetto esterno ma due mesi dopo riassegnata in via provvisoria all’Ama in attesa di far partire il nuovo meccanismo. Le difficoltà crescenti nella raccolta e soprattutto nello smaltimento, però, non spingono certo la puntualità dei versamenti, e alimentano una “coda” velenosa: fra i parametri che misurano la Tari entra anche il rischio di mancata riscossione, per cui i mancati pagamenti aumentano la tariffa a carico di chi si presenta alla cassa puntuale.
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