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Legge Madia, un passo avanti importante e una frenata

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L'Analisi|L’ANALISI

Legge Madia, un passo avanti importante e una frenata

Un consumato luogo comune dice che «la politica è l’arte del possibile», ma non ne spiega la conseguenza più importante: compito dei politici è stabilire fino a dove il «possibile» può spingersi, perché da qui più che dalle parole d’ordine si misura la loro forza riformatrice.

Da questo punto di vista, l’enorme cantiere dell’attuazione della delega sulla Pubblica amministrazione offre finora risposte contrastanti. Quelle positive arrivano dal decreto sulle partecipate, che è arrivato ieri all’adozione definitiva dopo un lunghissimo cammino, punteggiato da due passaggi in Parlamento e tre in consiglio dei ministri, ma è riuscito a resistere alle pressioni di ogni tipo in arrivo dal territorio e non solo. I parametri che individuano le partecipazioni da abbandonare sono rimasti nei fatti quelli rigidi scritti nella prima versione del testo, approvata quasi sette mesi fa, e le modifiche intervenute in corso d’opera sono servite a introdurre qualche eccezione di buonsenso e soprattutto a ipotizzare meccanismi più razionali di gestione degli esuberi.

Sul tema, che rappresenta la vera chiave di volta per il successo della riforma, le prospettive sono ancora difficili da immaginare, la volontà effettiva delle regioni di organizzare la mobilità e le possibilità dell’agenzia nazionale di mettere in campo politiche attive efficaci sono tutte da costruire, ma un dato è certo: la replica in chiave societaria degli elenchi nazionali gestiti dalla Funzione pubblica per gli esuberi di province e città metropolitane non avrebbe funzionato.

Per ottenere davvero il taglio dei costi e il rilancio dell’efficienza a cui punta, la riforma deve però portare avanti anche la sua seconda gamba, rappresentata dal decreto che riscrive le regole degli affidamenti per i servizi pubblici locali e prova a smontare un po’ la gabbia dell’in house per favorire le gare. Questo secondo decreto, però, sta sonnecchiando in Parlamento, e rientra in quei capitoli della delega che hanno imboccato un cammino più lungo
del dovuto.

Per scrivere un primo bilancio del tiro alla fune fra le spinte riformatrici e le resistenze conservatrici non bisognerà aspettare troppo. Dopo il rinvio di ieri, il 25 agosto diventa l’ultimo giorno per far partire davvero il decreto sui dirigenti pubblici. La valutazione andrà fatta ovviamente sui contenuti ma, viste le discussioni che hanno animato le stanze ministeriali quando si è affacciata l’ipotesi di un primo via libera ieri, sarà la stessa comparsa effettiva del decreto nel prossimo ordine del giorno del consiglio dei ministri a dare indicazioni importanti sulla “fermezza” del governo. Anche perché, senza attuare la delega sui dirigenti, sarà difficile a settembre convincere il resto del pubblico impiego che invece le loro regole vanno assolutamente modificate.

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