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Parte il confronto sui costi fra flessibilità in uscita e aiuti alle pensioni basse

  • –Davide Colombo

Sulle pensioni il Governo s’impegnerà a reperire più risorse. All’annuncio di martedì del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con riferimento esplicito alle pensioni più basse da rafforzare e lo scalino «troppo grosso» della riforma Fornero, non sono seguite cifre ufficiali né ufficiose. Il dossier, come noto, non è ancora chiuso e lo sarà solo dopo i tavoli tecnici e politici già fissati con i sindacati il 7 e il 12 settembre prossimi. Ieri però le agenzie di stampa hanno rilanciato alcune stime di spesa per le singole misure allo studio che produrrebbero un costo complessivo variabile tra i 3 e i 4 miliardi a regime, ovvero al lordo degli effetti fiscali e da leggere in termini cumulati nei primi dieci anni di applicazione. Siamo oltre la cifra di 1,5-2 miliardi ipotizzata finora e oltre anche le richieste dei sindacati per una dote rafforzata attorno ai 2,5 miliardi (Uil).

Partiamo dagli interventi per garantire al sistema una maggiore flessibilità in uscita. L’Ape, ovvero l’anticipo pensionistico con prestito bancario assicurato e rimborsabile in 20 anni, costerebbe attorno ai 600 milioni di euro, una spesa destinata soprattutto a coprire le detrazioni previste per le categorie più svantaggiate, come i disoccupati di lungo corso, mentre 50 milioni servirebbero per finanziare la sua gestione operativa, affidata all’Inps. Quest’ultima voce di spesa potrebbe essere attivata con un decreto legge entro settembre. Un altro canale che, se attivato, garantirebbe un buon flusso di anticipi pensionistici (70-80mila lavoratori l’anno) è quello delle ricongiunzioni gratuite dei versamenti effettuati in gestioni diverse: costerebbe a regime 500 milioni, cifra che include anche il riscatto della laurea (senza la spesa scenderebbe a 440 milioni). Nel primo anno di attivazione il costo sarebbe di 87 milioni (circa 50 senza riscatto laurea). Si modificherebbe, con questo intervento, il quadro regolatorio fissato dalla legge 228/2012 (commi 239 e successivi) ma dal nuovo meccanismo sarebbero escluse le casse dei professionisti.

Restano poi i due canali di uscita facilitata per precoci (chi ha lavorato prima dei 18 anni) e lavoratori impegnati in attività usuranti. Il primo intervento è quello potenzialmente più oneroso. Uno scivolo al pensionamento per i lavoratori precoci avrebbe costi che oscillano tra 1,2 e 1,8 miliardi a regime (dopo i primi 10 anni). Il riconoscimento di un bonus di quattro mesi per ogni anno di contribuzione prima dei 18 anni di età avrebbe un valore tra 1,5 e 1,8 miliardi, sempre a regime. Riducendo il bonus a tre mesi si andrebbe da 1,2 a 1,4 miliardi. Sarebbe di 60-67mila la platea annua degli interessati. Ma in questo caso la platea potrebbe essere molto ridimensionata se, per esempio, si decidesse un limite minimo di 104 settimane (due anni) di versamenti prima dei 18 anni per essere riconosciuto tra i beneficiari del bonus. In questo caso la spesa scenderebbe molto. Favorire il pensionamento di chi ha svolto attività particolarmente faticose determinerebbe una spesa di 72 milioni a regime (20 milioni il primo anno), nell’ipotesi che fa leva sull’adeguamento alla speranza di vita. La cifra si alza se si estende l’agevolazione ad altre categorie (220 milioni se si includono gli operai edili). Dunque anche in questo caso la variabilità delle stime è molto ampia. Infine le misure per dare più risorse ai pensionati più poveri. Raddoppiare la platea dei benefciari della 14esima mensilità (da 1,2 a 2,4 milioni di pensionati)costerebbe 800-900 milioni. La maggiorazione sarebbe graduata, come già accade attualmente, sui contributi (336 euro se sotto i 10 anni, 425 fino ai 20 anni e 506 oltre i 25 anni di versamenti). L’allargamento del bacino si otterrebbe alzando l’assegno su cui caricare la 14esima (oggi è 750 euro mensili). Meno onerosa la scelta di allineare la no tax area dei pensionati a quella valida per i dipendenti: costerebbe 260 milioni l’anno. Mentre sarebbe assai più alta la spesa per portare tutte le detrazioni allo stesso livello (1,9 miliardi).

Alla luce di queste stime, circolate nei tavoli tecnici delle ultime settimane e suscettibili di ulteriori correzioni, hanno fatto seguito alcune reazioni sindacali. «O il Governo fa uno sforzo o noi decideremo cosa fare, certamente siamo pronti alla mobilitazione», avverte il segretario generale dello Spi Cgil, Ivan Pedretti. Dalla Cgil nazionale, il coordinatore dell’area della contrattazione sociale Nicola Marongiu, spiega come «la cifra ragionevole su cui poter lavorare è tra i 2 e i 3 miliardi». Fiduciosa la Uil: il segretario confederale Domenico Proietti assicura che il sindacato «continuerà a lavorare con determinazione per chiudere positivamente questo capitolo importante per il nostro Paese».

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