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Espulso un imam della moschea di Andria. Il conto totale sale a 43 nel 2015

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nota del ministro alfano

Espulso un imam della moschea di Andria. Il conto totale sale a 43 nel 2015

Il momento dell’arresto dell’imam di Andria Hosni Hachemi Ben Hassen (Ansa)
Il momento dell’arresto dell’imam di Andria Hosni Hachemi Ben Hassen (Ansa)

«Oggi pomeriggio è stato espulso un altro imam, su esecuzione del provvedimento da me firmato». Lo ha annunciato, con una nota, il ministro dell'Interno Angelino Alfano «Dal gennaio del 2015 - ricorda Alfano - sono 9, quindi, gli imam espulsi, 27 se si va a ritroso fino al 2003». Ma in totale considerando «l'espulsione di oggi - conclude Alfano - quelle eseguite dall'inizio del 2015 sono 109 e, di queste, 43 riguardano l'anno in corso». L'imam espulso oggi, spiega il ministro dell'Interno, è un tunisino 49enne della moschea di Andria, «arrestato dal Ros dei Carabinieri perché sospettato del reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale.

Il 15 luglio scorso la Cassazione aveva annullato senza rinvio, «perché il fatto non sussiste», le condanne nei confronti di cinque presunti appartenenti alla cellula terroristica con base ad Andria, ordinando l'immediata scarcerazione dei quattro imputati detenuti (il quinto era già libero dopo la sentenza d'appello), accusati di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo internazionale di matrice islamica.

Nei confronti di uno dei quattro detenuti, l'imam della moschea di Andria Hosni Hachemi Ben Hassen, alias Abu Haronne, ritenuto dalla Dda di Bari il capo dell'organizzazione - e oggi sottoposto a espulsione col provvedimento del Viminale -, la Suprema Corte aveva annullato la sentenza con rinvio per la rideterminazione della pena solo per il reato di istigazione all'odio razziale. Insomma, per la Cassazione, ad Andria non c'era alcuna cellula jihadista. Stando alle indagini della Dda di Bari, tra il 2008 e il 2010 il gruppo, sotto la guida dell’imam tunisino avrebbe studiato in rete le tecniche per costruire ordigni, si sarebbe addestrato sull'Etna all'uso delle armi, parlando di odio, di sacrificio, di morte. Sempre secondo la Dda, nel call center gestito dal presunto capo dell'organizzazione avveniva l'indottrinamento finalizzato anche al reclutamento di volontari mujaheddin da avviare ai campi di battaglia in Afganistan, Yemen, Iraq e Cecenia.

Gli imputati, tutti tunisini, furono arrestati dal Ros dei Carabinieri di Bari nell'aprile 2013. In primo grado, nel settembre 2014, con rito abbreviato furono condannati a pene comprese fra i cinque anni e due mesi e i tre anni e quattro mesi. In appello, nell'ottobre 2015, condanne confermate con riduzione di pena per un solo imputato, già allora scarcerato. Poi, il 15 luglio di quest'anno, la sentenza della Cassazione che ha annullato le condanne e rimesso tutti in libertà.

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