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Pd, prime aperture alla minoranza

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Pd, prime aperture alla minoranza

  • –Mariolina Sesto

roma

«È giusto dialogare al nostro interno, e si può ricominciare subito sul sistema di voto del nuovo Senato, ma non al punto da accettare poteri di veto». È il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini il primo a raccogliere il “consiglio” recapitato pochi giorni fa da Vasco Errani al partito: «Renzi dialoghi con chi dice no. Sono pronto a dare un contributo».

Dunque la maggioranza del partito si muove. E offre come terreno di confronto la legge per l’elezione dei nuovi senatori, quella che serve se la legge di riforma costituzionale supera la prova del referendum di novembre. La risposta della minoranza, per ora è algida. «Chiediamo da mesi una svolta sulle questioni economiche e sociali e un cambiamento vero della legge elettorale. Questo è il terreno di discussione che ci interessa» reagisce il leader della sinistra Roberto Speranza. Sull’Italicum però, Guerini oggi come Renzi ieri, sono netti: è una materia parlamentare, se c’è una maggioranza in grado di cambiarlo si faccia avanti. Inutile dunque aspettarsi mosse del governo in questa direzione, tanto più prima della scadenza referendaria.

Il dialogo però, secondo il ragionamento di Guerini, non può trasformarsi nel diritto di porre veti. «Una cosa è discutere, in Parlamento, un’altra è confondere il dialogo con il diritto di veto. Non può esistere qualcuno che fa continuamente saltare il tavolo» mette in chiaro il vicesegretario Pd. «Nessun veto e nessun ricatto - è la replica di Federico Fornaro, esponente della minoranza -. Era noto da mesi che la minoranza Pd aveva votato le riforme ma non l’Italicum». Fornaro ricorda inoltre la proposta già avanzata dalla sinistra Pd in materia di nuova legge per l’elezione dei senatori: «È da gennaio che abbiamo presentato pubblicamente una proposta a mia prima firma e sottoscritta da 24 senatori Pd. È da più di 6 mesi, dunque, che attendiamo che non solo si rispettino gli accordi, ma, soprattutto, si garantisca ai cittadini il fondamentale potere di scelta dei senatori».

Ma è dentro la minoranza dem, intanto, che continua il dibattito sulla sua riorganizzazione. Ieri il filosofo e politico Massimo Cacciari ha bocciato la ricerca di un “papa straniero” e ha invitato la sinistra dem ad organizzare un gruppo dirigente forte per sfidare Matteo Renzi. «Devono cercare una squadra, e farlo in fretta: mettere insieme un gruppo di persone competenti. E dirci cosa pensano davvero del Jobs Act, delle modifiche alla Costituzione che sono necessarie. Finora sono apparsi come quelli della conservazione, al massimo dell’emendamento» afferma Cacciari invitandoli anche a recidere il «cordone ombelicale con i D’Alema e i Bersani». «Condivido ogni parola. Oggi stesso mi adopererò per costruire la squadra di cui parla» gli risponde il governatore della Toscana, Enrico Rossi, sfidante di Renzi alla segreteria e citato dallo stesso Cacciari come possibile componente, insieme a Cuperlo, Zingaretti e Civati, del team che dovrebbe sfidare il segretario del Pd. «Ha ragione Cacciari ed ha ragione Cuperlo» ammette anche l’esponente della sinistra dem Giorgio Merlo che chiede di voltare pagina per «poter restare sino in fondo un partito di centrosinistra, popolare, riformista e con una autentica cultura di governo». Concorda anche la cuperliana Barbara Pollastrini: «Nel Pd serve un nuova sinistra, altrimenti questo partito indeterminato perde voti e anima» dice invitando Renzi e Boschi al confronto e non solo sull’elezione dei senatori ma anche per annullarne l’immunità, sulle norme sui referendum, sull’accorpamento delle le regioni, sui regolamenti parlamentari a tutela delle opposizioni.

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