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La Consulta e l’ipotesi «mini-ritocco» all’Italicum

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legge elettorale

La Consulta e l’ipotesi «mini-ritocco» all’Italicum

L’intreccio (virtuoso o perverso a seconda dei punti di vista) tra Italicum e referendum costituzionale - anche se evidentemente si tratta di due temi diversi essendo la nuova legge elettorale una legge ordinaria e non una modifica costituzionale - continua a “coprire” il dibattito sul merito della riforma del Senato e del Titolo V. Non c’è solo la minoranza del Pd, che da mesi chiede modifiche all’Italicum come condizione per votare Sì al referendum di fine novembre.

Il pressing per introdurre il premio alla coalizione invece che alla lista o addirittura per eliminare il ballottaggio, e con esso il rischio che vinca il Movimento 5 Stelle per l’effetto di “tutti contro Renzi e il Pd” come accaduto alle comunali di Torino, è ben più ampio del perimetro dei bersanian-cuperliani: se i bersaniani hanno proposto prima della pausa estiva una legge del tutto nuova a turno unico, il cosiddetto Mattarellum 2.0, i Giovani Turchi di Matteo Orfini e di Andrea Orlando guardano al modello greco con turno unico e premio di maggioranza al primo partito, i franceschiniani insistono (assieme agli alleati alfaniani del Nuovo centrodestra) per tornare alle coalizioni.

E della necessità di modificare l’Italicum in un quadro politico diverso da quello di due anni fa hanno pubblicamente parlato anche “big” democratici come il presidente emerito Giorgio Napolitano e il fondatore del partito Walter Veltroni.

Lo snodo del 4 ottobre

Il punto è che Matteo Renzi resta convinto che l’Italicum, proprio in presenza di un tripolarismo di fatto (Pd, M5S e centrodestra in via di riunificazione), è l’unico sistema che garantisce la certezza di un vincitore. Con i vari sistemi a turno unico proposti il rischio di rendere stabile una larga coalizione tra Pd e centrodestra è più che un rischio, come insegna il caso spagnolo. Tuttavia, proprio per non sovrapporre i piani della legge elettorale e delle modifiche alla Costituzione, il premier ha lasciato la porta aperta a possibili modifiche in Parlamento dopo il referendum. Anche perché aprire ora il dibattito sulla legge elettorale avrebbe poco senso, dal momento che all’inizio di ottobre, il 4, è attesa la pronuncia della Corte costituzionale su due ricorsi presentati dai Tribunali di Messina e di Torino che hanno fatto propri alcuni rilievi sollevati da un comitato di legali coordinati da Felice Besostri, già protagonista delle battaglia vinta contro il Porcellum. E se il ricorso di Messina è a rischio ammissibilità perché presentato prima dell’entrata in vigore dell’Italicum, il primo luglio scorso, quello di Torino è dal punto di vista tecnico ammissibile. E più di una fonte parlamentare della maggioranza scommette su un accoglimento parziale del ricorso di Torino.

Il “pressing”politico sui giudici costituzionali punta sull’abolizione del ballottaggio per timore di una vittoria del partito anti-euro di Beppe Grillo. Eppure intervenire sulle soglie e sul ballottaggio appare complicato dal punto di vista giuridico cosicché, sempre secondo fonti della maggioranza, la Consulta potrebbe accogliere dei punti meno dirimenti dal punto di vista politico come la bocciatura delle candidature multiple.

Ipotesi accoglimento parziale

Se fosse accolto in modo parziale il ricorso di Torino - e qui occorre usare il condizionale perché c’è sempre l’ipotesi (la più gradita a Renzi) del rigetto di entrambi i ricorsi - la Consulta avrebbe due strade davanti a sé: o entrare subito nel merito decidendo nel giro di qualche ora, o fissare una data più in là nel tempo - in genere è il 14 gennaio - per la sentenza. In entrambi i casi il discorso Italicum si riaprirebbe: da qui la prudente apertura di Renzi e di altri membri del governo a possibili modifiche. Vero che prima della decisione della Consulta c’è sulla strada dell’Italicum la mozione presentata da Sinistra italiana che chiede profonde modifiche e calendarizzata alla Camera per settembre. Ma lo snodo vero resta il 4 ottobre, tanto che il Pd potrebbe chiedere in Capigruppo di posticipare la discussione e il voto sulla mozione a dopo la decisione della Consulta.

È chiaro che al premier converrebbe un rigetto totale da parte dei giudici costituzionali dei ricorsi sul “suo” Italicum , e nell’ipotesi di un accoglimento parziale il posticipo della sentenza a dopo il referendum. Altrimenti si parlerebbe solo di legge elettorale oscurando i temi della riforma Boschi ricordati ancora ieri da Renzi: «Il referendum non è sulla legge elettorale o sul governo - ha scritto nella sua e-news -. Se vince il No, rimane tutto com’è adesso, se vince il Sì saltano le poltrone e si semplifica l’Italia». Ma sarà arduo separare il merito della riforma costituzionale dal dibattito sull’Italicum. E soprattutto dal destino del governo.

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