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Lega, i rischi della scommessa «radicale» di Salvini

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l’analisi

Lega, i rischi della scommessa «radicale» di Salvini

Si fa presto a cavarsela dicendo che la Lega tradizionalmente è «di lotta e di governo». Questa è stata la formula con cui il governatore della Lombardia Maroni ha voluto smorzare il contrasto tra le sue posizioni e quelle del segretario del suo partito Salvini. Ha aggiunto, tanto per compiacere gli spiriti polemici, che la Lega non è come il Pd, perché è abituata a confrontare al suo interno posizioni diverse.

In realtà la faccenda è ben più complicata. A prescindere dal fatto che la formula sulla compresenza in un partito della propensione alla lotta e di quella alle posizioni di governo è uno di quegli ossimori che non spiegano niente e che fanno subito sospettare una pura furberia dialettica, il vero problema non è la presenza nella Lega di una vocazione alla “lotta”, ma la scelta di Salvini per un tipo molto particolare di lotta.

Lo show che ha messo in scena a Ponte di Legno aveva tutti i caratteri dell’appello non alla lotta, ma allo scardinamento dei principi anche solo liberali a favore di una scelta da destra estrema. Basterebbero a provarlo l’esibizione con la maglietta della polizia e il suo appello a tirare le forze dell’ordine fuori dai doveri di obbedienza al potere legittimo (che tale rimane, comunque lo si voglia giudicare), per non dire la proclamazione della volontà di far riprendere agli “italiani” gli alberghi che ospitano i profughi, con un forte retrogusto di azione squadristica. E, tanto per aggiungere elementi, ricordiamo l’attacco che è seguito alle parole del presidente Mattarella, non criticato (il che rientrerebbe nella dialettica politica), ma accusato di essere complice e sostenitore degli scafisti.

Come Maroni possa considerare questo tipo di “lotta” compatibile con l’aspirazione a partecipare ad una coalizione “di governo”, magari assieme a Parisi per cui il governatore lombardo professa stima e interesse, è ovviamente un mistero. La spiegazione banale potrebbe essere che semplicemente Maroni non se la sente in questo momento, con un centrodestra ancora in fase di riorganizzazione, di rompere con un’ideologia che, per quanto rischiosissima, ha una sua presa su una quota non marginale dell’elettorato. Se oggi la Lega si ridimensionasse in un’ottica di responsabilità verso il sistema italiano, si ritiene esista il rischio che molti suoi elettori semplicemente la abbandonino per tornare o per andare alla nuova versione di Forza Italia.

L’impressione è che Salvini, a cui non manca un certo fiuto, abbia intuito il rischio e abbia deciso di tagliare i ponti alla spalle, e non soltanto alle sue, ma anche a quelle di Maroni. In sostanza il messaggio che l’attuale segretario della Lega manda a chi lavora per un nuovo centrodestra ristrutturato su quello che si usa chiamare “il modello Milano” pare sia questo: se volete avere il mio partito nella nuova coalizione dovete farlo alle mie condizioni, e cioè accettando di avere con voi una forza chiaramente orientata verso le parole d’ordine del populismo di estrema destra.

È una strategia efficace? Ovviamente nell’analisi prescindiamo da giudizi di valore e valutiamo solo l’aspetto politico della faccenda. Tutto è pensato in un’ottica sfascista, con l’economia che non si risolleva, l’immigrazione che non si riesce a inquadrare in un contesto accettabile, magari un po’ di vento populista che a sostegno arrivi da Francia, Usa e magari anche Germania dove la Merkel ha i suoi problemi con il ritorno di un certo radicalismo fra il conservatore e l’estrema destra. Se il panorama sarà diverso, cioè se ci sarà anche solo un inizio di ripresa, una possibilità di governo dell’immigrazione (magari in prospettiva europea), una sconfitta dei populismi a cui abbiamo fatto riferimento, le cose ovviamente non andranno nella direzione che spera Salvini.

In più anche se davvero il quadro inclinasse a quel “peggio” che egli preconizza in continuazione, non valuta il fatto che in termini di “apocalisse annunciata” adesso deve fare i conti con un M5S che gioca la sua stessa partita, ma con maggiore duttilità ideologica per non dire con una certa verginità politica su cui può ancora contare nonostante il trascorrere del tempo gliela stia erodendo.

Parisi non potrà a lungo fare lo spettatore neutrale nello scontro sotto traccia fra Salvini e Maroni, né quest’ultimo potrà rifugiarsi a lungo negli ossimori. L’autunno con i vari nodi che verranno al pettine costringerà tutti a chiarire le idee, ma ancor più le rispettive posizioni.

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