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«Riaprire il negozio? Per chi? Sono tutti morti»

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reportage da accumoli

«Riaprire il negozio? Per chi? Sono tutti morti»

(LaPresse)
(LaPresse)

Il terremoto che ha sbriciolato l’Appennino dell’Italia centrale rivaleggia con il suo gemello aquilano anche sul numero dei morti. Una lugubre rincorsa: 250 contro 309. Ma sono cifre parziali, con un andamento che purtroppo procede solo al rialzo. Non bastavano le affinità tra la magnitudo e l’ora del sisma, nel cuore della notte. Accumoli e Amatrice rivendicano involontariamente la loro antropologia abruzzese.

Antropologia confermata anche da singolari coincidenze sugli appalti per la salvaguardia dalla vulnerabilità sismica della scuola elementare di Amatrice intitolata a Romolo Capranica: studenti che arrivavano anche dalla provincia dell’Aquila e fondi per la ristrutturazione (si veda l’articolo a pagina 6) stanziati con gli interventi post sisma del 2009. Un continuum di disgrazie, macerie e paure.

Il sisma che ha devastato il Centro Italia e distrutto Amatrice

La distanza enorme tra i paesi feriti dal sisma, ecco la prima cosa che colpisce muovendosi sulla parte laziale della catastrofe. Chilometri e chilometri tra i monti della Laga, i Sibillini e il parco del Gran Sasso, tra puledri al galoppo e mucche bianche di razza chianina e marchigiana al pascolo che esprimono la loro sintonia con la natura ondeggiando la coda. Laga, con 2.561 piante censite, è una delle aree protette con la maggiore biodiversità vegetale in Europa. Luoghi incantati, uno shangri-là dove la pastorizia e l’agricoltura hanno sbarrato il passo a una cementificazione praticamente inesistente. Sembra uno spot, ma il tema dominante dei prossimi giorni sarà uno e uno solo: come ridare vigore economico a un rosario di paesi e villaggi ormai popolati da anziani. Il terremoto rischia di essere il colpo di grazia su un ecosistema che meriterebbe ben altro futuro.

Il crollo, il dolore, le testimonianze

Ad Accumoli, neppure 350 anime, la voglia di gettare la spugna torna assillante in ogni ragionamento. In cima al paese è stata allestita una tendopoli che ospita un numero spropositato di donne anziane, alcune di loro con una deambulazione esitante. Il campanile della chiesa ristrutturato tre volte e poi piombato come una bomba su una casa dove dormiva un’intera famiglia, gli unici quattro morti del paese (gli altri sette erano turisti). È uno degli episodi sui quali la Procura di Rieti ha aperto un’inchiesta per disastro colposo. Molti degli abitanti di questo paese sembrano quasi sentirsi in colpa per essere sopravvissuti. Come Pasquale Conti e sua moglie Daniela Taloni, gestori dell’unico negozio di alimentari del paese. Siedono dietro un tavolo della mensa da campo con accanto un gruppo di ragazzi che inganna il tempo giocando a briscola. Daniela non smette di asciugarsi gli occhi, coperti da un paio di occhiali da sole. Pasquale va diritto al punto: «Ho deciso: chiuderemo l’attività e raggiungeremo i nostri due figli a Roma. Il paese è morto».

Il sindaco Stefano Petrucci non prova neppure a rintuzzare. Pure lui è di umor nero. Inutile chiedergli degli adeguamenti antisismici mancati: «Ci sono stati finanziamenti per tre annualità da parte della Regione Lazio, con i quali abbiamo messo a norma quattro case». Petrucci è un geometra, quindi, ammette lui stesso, «consapevole del rischio sismico». Quanti anni ci vorranno per mettere in sicurezza Accumoli? « Tre secoli» sibila quasi con disincanto il sindaco prima di essere fagocitato da una folla di carabinieri e uomini della Protezione civile che lo circondano da mattina a sera. La risposta è coerente: le case che si affacciano su piazza San Francesco, il cuore del paese, sono scavate come una noce marcia. La ragnatela di crepe sono un piccolissimo assaggio di un sisma che con un moto ondulatorio e sussultorio le ha proiettate verso l’alto, strappando quasi le fondamenta. I vigili del fuoco accompagnano gli abitanti sfollati a riprendere qualche ricambio di abiti e oggetti personali all’interno delle case sventrate.

Roberta Paolloni confessa a un pompiere di essere entrata nottetempo a casa sua senza essere scortata: «Dovevo salvare le mie poesie» dice con il candore di un’adolescente. Scene di ordinaria sopravvivenza in luoghi di vacanza, dove il giorno prima del sisma l’unica preoccupazione era quella di prepararsi allo spettacolo di un tramonto mozzafiato.

Concessioni alle frivolezza dell’esistenza che ad Amatrice non possono ancora permettersi. La morte, con il suo carico di dolore, segna ogni parola e ogni gesto. Luca Coli, capo ufficio stampa dei Vigili del fuoco, racconta che nel giro delle ultime 24 ore il numero dei pompieri impegnati nell’area del cratere è più che raddoppiato: da mille a oltre 2mila. I sentimenti sono la copia conforme di quelli di Accumoli. Roberto Serafini, 52 anni, proprietario della profumeria “Riflessi” di corso Umberto con annessa edicola, ripete esattamente le stesse parole di Conti. Dice: «Riaprire il negozio? E per chi? Sono tutti morti».

Chi ha visto estrarre i corpi dalle macerie, parla di un numero esagerato di bambini senza vita. Molti di loro erano nipotini in vacanza dai nonni, ma quando i numeri saranno noti, potrebbe emergere un altro elemento che renderà questo terremoto unico e drammatico. Le catastrofi, direbbe Tolstoj, sono come le famiglie infelici: ognuna lo è a modo suo.

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