Smorza le polemiche interne al Movimento Cinque Stelle sui maxicompensi e sulle nomine: «Mal di pancia nel M5S? Io non l’ho sentito, e nemmeno i cittadini. Noi preferiamo lavorare per Roma». E brandisce l’arma della delibera approvata ieri in giunta - progetti da 56 milioni di euro con cui Roma parteciperà al bando periferie del governo (500 milioni in palio a livello nazionale) - come «la prova che siamo qui a lavorare per questa città». La sindaca della capitale Virginia Raggi sa che il tasto è quello giusto e lo preme anche per mettere a tacere i malumori della base sulle sue ultime nomine: è sulla periferia “dimenticata” che l’avvocata pentastellata ha costruito e vinto la sua campagna elettorale, è sul riscatto dei margini della città che ha impostato la sua offensiva contro il Pd.
“Dalle periferie al centro: una città senza periferie” era il titolo dell’ultimo degli «undici passi per Roma» del suo programma. L’occasione del bando nazionale, che scade il 30 agosto, era troppo ghiotta per lasciarsela scappare: ogni progetto potrà ricevere un finanziamento massimo di 40 milioni di euro per il territorio di ciascuna città metropolitana e di 18 milioni di euro per i comuni capoluogo di provincia e per i comuni con il maggior numero di abitanti di ciascuna città metropolitana. Nonostante l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini e gli uffici che hanno lavorato al dossier siano stati costretti a una corsa contro il tempo, sono stati reperiti tra le pieghe del bilancio 300mila euro necessari per il cofinanziamento e sono stati messi a punto undici progetti, «tutti senza ulteriore consumo di suolo», come tiene a sottolineare la sindaca.
Al termine della giunta, elencando le proposte, snocciola parole care ai Cinque Stelle. Si va dalla riqualificazione del litorale, oggi preda del malaffare, anche con la ristrutturazione di un edificio pubblico da dare in dotazione alla polizia locale (13 milioni di spesa e un risparmio stimato in 1,2 milioni l’anno), alla «rigenerazione urbana» di aree come Corviale, San Basilio, Forte Trionfale e Forte Boccea (l’idea - spiega - è quella di rifunzionalizzarli insieme ai cittadini e soprattutto prevedere delle aree di partecipazione per la progettazione»). E ancora da un programma per favorire la nascita di piccole e medie imprese in periferia (4,34 milioni) a interventi di recupero di spazi pubblici di quartiere.
Raggi ringrazia «gli uffici che, nel mese di agosto, hanno lavorato senza sosta, peraltro senza andare in ferie per aiutarci a rispettare la scadenza». E si augura «che il governo al quale arriveranno questi progetti voglia approvarli e voglia finalmente consentire a Roma di ripartire con un nuovo concetto di urbanistica che sia consumo di suolo zero e che rispetti una nuova visione della città».
Bando periferie a parte, la giunta ha rinviato gli altri dossier: l’attesa riforma della governance delle partecipate, che dovrebbe segnare l’addio ai Cda e il passaggio all’amministratore unico; la nomina della delegata al litorale, già individuata nell’ex consigliera Giuliana Di Pillo che dovrebbe agire da raccordo tra la sindaca e il commissario straordinario del X Municipio, il prefetto Domenico Vulpiani; la partita compensi, che resta il nodo più spinoso. Perché, sebbene Raggi provi a gettare acqua sul fuoco, la questione è lì che cova.
Le nomine di Raffaele Marra, Salvatore Romeo e Andrea Mazzillo, insieme a quella di Eric Sanna nello staff del vicesindaco Daniele Frongia (erano colleghi all’Istat), continuano ad agitare gli attivisti sui social dopo che Francesca De Vito, sorella del presidente dell’assemblea capitolina Marcello, ha rotto gli indugi sottolineando che «tra i nostri principi c’è la lotta ai mega stipendi: accettare e capitolare adesso significa cominciare a distruggere le stesse basi del Movimento». Si meditano riunioni, si invoca il codice etico fatto firmare a Raggi e una presa di posizione più chiara da parte del direttorio e del mini-direttorio. Con cui il confronto è aperto, ma dietro le quinte. Tra gli stessi consiglieri serpeggia il malumore. Nessuno si espone, ma l’accusa a Raggi è quella di «tradire lo spirito del Movimento». E anche di sottrarsi al confronto.