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Dai sismi del passato modelli positivi per la ricostruzione

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GLI ESEMPI

Dai sismi del passato modelli positivi per la ricostruzione

Il terremoto del 2012 in Emilia Romagna è stato il primo ad avere colpito in maniera durissima le imprese. Nella foto un capannone industriale distrutto dal sisma
Il terremoto del 2012 in Emilia Romagna è stato il primo ad avere colpito in maniera durissima le imprese. Nella foto un capannone industriale distrutto dal sisma

Guardare all’Umbria per gli aspetti tecnici. Al Friuli Venezia Giulia per la collaborazione tra livelli di Governo. All’Emilia Romagna per il grande ruolo svolto dai privati. E all’Abruzzo per la riorganizzazione della catena di comando che, dopo la falsa partenza dei primi anni, produrrà nel 2016 un livello di investimenti record. Nella storia italiana delle ricostruzioni post sisma non ci sono solo l’Irpinia e il Belice, con i loro tanti errori, ma anche parecchi modelli positivi da seguire. Così l’elenco delle buone pratiche è lungo almeno quanto quello delle incertezze da non replicare.
Il primo caso positivo è quello del Friuli Venezia Giulia. Anzitutto, perché si tratta dell’unica ricostruzione completa del nostro Paese. Lo dice un’analisi del Centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri: il terremoto si è abbattuto sulla regione dell’estremo Nord Est italiano nel 1976 e l’ultimo stanziamento è stato messo a bilancio dal Governo nel 2006, con costi complessivi pari a 18,5 miliardi di euro. Un caso unico nella nostra storia, se consideriamo ad esempio che ci stiamo ancora trascinando dietro il dramma dell’Irpinia con una ricostruzione che, in qualche forma, è ancora un capitolo aperto, destinato a non chiudersi prima del 2023. Il caso friulano, poi, va ricordato anche per la positiva collaborazione tra Governo, Regione e Comuni.

Il terremoto che ha sconvolto Umbria e Marche nel 1997 può rappresentare un modello dal punto di vista progettuale. In quell’occasione, infatti, la Protezione civile ha avviato un nuovo percorso di normazione tecnica che, con il passare degli anni, è stato anche inglobato in alcuni provvedimenti del ministero delle Infrastrutture. In pratica, venti anni fa sono state individuate le tipologie di intervento più efficaci (tetti in legno, collegamenti con catene tra muri, rinforzi con materiali innovativi come le fibre di vetro), indicando anche quali sono gli errori da evitare: in generale, tutti gli elementi che appesantiscono le strutture, come i rinforzi con solai in cemento armato o i cordoli in cemento armato. Si tratta di prontuari che hanno creato casi virtuosi come quello di Norcia e che andranno usati anche in questa occasione, dal momento che il sisma umbro è, per caratteristiche degli edifici, quello che più somiglia all’evento che in questi giorni sta sconvolgendo il Centro Italia.

Dall’Emilia Romagna arriva un’altra lezione fondamentale: quello del 2012 è stato il primo terremoto ad avere colpito in maniera durissima le imprese. Le aziende, chiamate a reagire, non si sono sottratte, dando un grande esempio di come anche i privati possano giocare un ruolo cruciale quando c’è da rimettere in piedi un territorio. Ad appena un anno di distanza dal sisma, la cassa integrazione per il terremoto era stata già quasi azzerata. Nonostante un’erogazione dei contributi che, come noto, è andata avanti in parecchi casi a ritmi troppo lenti. Infine, qualche indicazione positiva potrà arrivare anche dalla ricostruzione in Abruzzo: il cantiere dell’Aquila ha impiegato anni a carburare ma adesso sta dando risultati incontestabili. Nel 2016 la spesa effettiva per lavori potrebbe arrivare a quota 1,1-1,2 miliardi, record assoluto di investimenti dopo il 2009. Merito anche della revisione della catena di comando operata nel 2013: fine della gestione commissariale regionale e centralizzazione del controllo in capo al Governo.

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