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La ricostruzione rimette in moto l’economia solo se è…

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L'Analisi|l’analisi

La ricostruzione rimette in moto l’economia solo se è «intelligente»

È grande il dolore per la perdita di vite umane, per i feriti e per i legami familiari recisi traumaticamente nel terremoto di Amatrice. Ma è grande anche lo sconcerto per alcune affermazioni senza senso sulle conseguenze economiche del terremoto e della ricostruzione.

Vorrei dire subito che la ricostruzione delle zone terremotate è un dovere civile e di solidarietà a cui un paese sviluppato come l’Italia non può sottrarsi, a prescindere dall’impatto economico. C’è da chiedersi tuttavia, in che modo un paese ad alto rischio sismico debba fare prevenzione per limitare le perdite di vite umane e i danni materiali in futuro. Aver ben chiari i meccanismi attraverso i quali si crea e si distrugge crescita economica e ricchezza è l’indispensabile premessa a questo dibattito.

Le calamità naturali producono una riduzione improvvisa del cosiddetto stock di capitale, pubblico e privato, cioè di ricchezza. Se crolla un municipio, una scuola o un monumento storico, che sono beni pubblici, vi è un impoverimento della collettività perché questi hanno un valore economico e la loro ricostruzione ha un costo. Una perdita di ricchezza si verifica anche quando una famiglia perde la sua casa e parte dei suoi beni tra le macerie.

Un capitale può essere produttivo o improduttivo. La demarcazione non è così netta. Un capannone industriale è chiaramente un bene la cui finalità è quella produttiva. Una residenza privata sembrerebbe del tutto improduttiva, ma la sua presenza può essere la condizione necessaria per consentire a chi ci vive di essere produttivo, e può a sua volta esser sede di attività professionali o di servizi alla persona.

Diverso è invece parlare di reddito o di crescita del prodotto interno lordo (PIL). Il terremoto può agire in vario modo. La perdita di fattori di produzione può impedire la creazione di reddito nelle fasi immediatamente successive alla calamità e provocare disfunzioni per l’intero tessuto economico. Ad esempio, i danni provocati ad un impianto di produzione di energia elettrica possono interrompere la sua produzione e avere ripercussioni negative per il resto dell’economia. Se infatti si creano interruzioni di energia elettrica in rete, altre attività industriali e servizi saranno impossibilitate a dare il loro contributo alla crescita economica, almeno sino a che la normale fornitura sarà ripristinata.

Un altro esempio è quello del terremoto in Emilia del 2012, quando l'interruzione dell’attività di imprese specializzate nella produzione di alcune componenti aveva provocato danni addirittura su alcune filiere globali.

L'economia è fatta di network. L’interruzione dell'attività di un'impresa ha ripercussioni su tutto il tessuto economico. Questo vale anche per importanti snodi di logistica e distribuzione, per la rete di trasporti ecc.

In genere sono danni rimediabili. La rimessa in funzione di queste attività riporta la crescita del Pil ai ritmi precedenti e talvolta vi è anche un recupero dell’attività persa. In altri casi, invece, i danni sono permanenti o più difficilmente recuperabili. Ad esempio, quando le filiere internazionali si direzionano verso altri fornitori in altre parti del mondo. Il danno è ovviamente permanente anche quando vi sono perdite di vite umane o le menomazioni rendono le persone non in grado di partecipare al processo produttivo.

Infine, vi possono essere anche effetti indiretti, quando ad esempio un crollo del clima di fiducia delle imprese e dei consumatori si ripercuote nei comportamenti di spesa.

Quindi un terremoto non solo produce una perdita di ricchezza, ma anche di reddito che può essere più o meno severa a seconda della tipologia dei danni subiti e delle interconnessioni con il resto dell’economia.

Su questo si inserisce il processo di ricostruzione. Contabilmente, la ricostruzione è un'attività economica e come tale fa crescere il Pil. Poiché il settore delle costruzioni ha un “moltiplicatore elevato”, ovvero mette in moto una serie di attività che moltiplicano l’effetto iniziale, questo crea un volano che dà un significativo supporto alla crescita economica e all'occupazione. In genere, questo effetto tende a prevalere rispetto a quello negativo detto sopra, anche se le tempistiche non sempre coincidono.

Tuttavia, anch’esso tende ad esaurirsi. A ricostruzione avvenuta, infatti, si torna al punto di partenza, con la differenza che i quattrini usati per finanziare la ricostruzione hanno aumentato il debito pubblico e questo aumento ha inevitabili ripercussioni negative sulla crescita futura.

Solo in alcuni casi la ricostruzione può mettere in moto processi che portano ad un innalzamento strutturale della crescita economica. Questo avviene, ad esempio, quando la ricostruzione crea infrastrutture che migliorano la produttività dei fattori di produzione e porta ad un loro uso più efficiente, quando introduce nuove tecnologie o stimola processi di innovazione. Ad esempio, quando una struttura industriale viene ricostruita con tecnologie d’avanguardia che la rendono più competitiva.

Anche lo sviluppo di nuove tecnologie di messa in sicurezza anti-sismica può creare crescita potenziale. Queste tecnologie possono essere applicate altrove, possono essere esportate e possono creare crescita aggiuntiva e occupazione.

La ricostruzione, come nel caso di tutti gli investimenti pubblici, deve portare ad un effetto d'offerta per consentire un innalzamento strutturale della crescita economica. Oppure, può ridurre i potenziali danni futuri. Altrimenti, l’effetto è solo temporaneo, e se non ha un ritorno adeguato in termini di reddito futuro (o di mancata perdita), non riesce neppure a controbilanciare gli effetti negativi legati all'espansione del debito pubblico.

In sostanza la ricostruzione non è la manna dal cielo. Tutt’altro. Ma se fatta in modo intelligente può essere un’opportunità da cogliere.

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