Italia

I dieci pilastri per la prevenzione e gli errori da evitare

  • Abbonati
  • Accedi
L'Analisi|l’analisi

I dieci pilastri per la prevenzione e gli errori da evitare

Il terremoto ha lasciato storie drammatiche di perdite umane e territori devastati e, oltre la scia di polemiche della prima ora, qualche importante segnale che possono sorgere un dibattito e un’azione di governo finalmente innovativi sulle politiche di ricostruzione e soprattutto di prevenzione per il futuro.

Lo sviluppo di una discussione pubblica che andasse nella giusta direzione non era affatto scontato quando, già il giorno dopo il sisma, questo giornale ha proposto e chiesto un piano pluriennale straordinario per la prevenzione sismica e idrogeologica del territorio, chiedendo una discussione seria, un orizzonte temporale almeno ventennale, strumenti normativi e urbanistici coerenti e una adeguata dimensione economica dell’ordine di almeno 3-4 miliardi annui, fatta non solo di fondi pubblici, ma anche di investimenti privati opportunamente stimolati e sostenuti. Soprattutto un piano di questo genere dovrebbe porsi l’obiettivo di una rigenerazione di questi territori in chiave di sviluppo, in modo da coniugare la ricostruzione fisica alla rivitalizzazione economica e sociale. Rispetto delle identità dei territori ma anche nuove opportunità di crescita territoriale, imprenditoriale ed economica.

La posizione presa da Matteo Renzi con il lancio del programma “Casa Italia” e la disponibilità data dalle opposizioni a una posizione non strumentale hanno creato una cornice utile, aperta al contributo di forze politiche, culturali, economiche e sociali. Ma proprio ora è necessario partire da questi spunti di dibattito per affrontare nodi che in passato hanno frenato le potenzialità di disegni simili. Vediamo quindi - fra cose già dette e cose da fare - quali possono essere i pilastri di questa azione.
Molto bene che finalmente si ponga come prioritario l’obiettivo della prevenzione e molto bene che si pensi a un piano di prevenzione complessiva dei territori, tenendo insieme gli aspetti idrogeologici (frane e alluvioni), sismici, energetici (in termini di riqualificazione energetica), infrastrutturali, di recupero delle periferie urbane. Questo obiettivo, per essere credibile, va incardinato con uno strumento ad hoc dentro l’ordinamento italiano, garantendo un’azione costante, anno dopo anno, in un orizzonte temporale lungo. Superare tutte le resistenze amministrative e contabili che spesso hanno impedito questo obiettivo pluriennale in passato. Misurare e controllare i risultati con open data e massima trasparenza da subito, prevedere commissari ad acta in caso di fallimento degli obiettivi.
Fondamentale è lo stimolo agli investimenti privati ed è necessario fare tesoro degli strumenti di incentivo fiscale che in questi anni hanno dimostrato di funzionare, adeguandoli ai nuovi obiettivi. Come sostengono da tempo il presidente della commissione Ambiente, Ermete Realacci, e il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, dati alla mano, le detrazioni fiscali del 50% e del 65% in favore di ristrutturazioni edilizie e risparmio energetico si sono dimostrati altamente efficaci. Si adeguino ai nuovi obiettivi con i “sismabonus” in aggiunta agli ecobonus e si diano a questa famiglia di incentivi un orizzonte pluriennale, una scala dimensionale che vada oltre il micro intervento, l’aggancio ad altre forme di incentivazione (per esempio europee). Più in generale, avere il coraggio di tagliare incentivi che non funzionano, improduttivi o assistenziali, per concentrarsi su quelli che funzionano è una grande operazione di spending review e di efficientemento delle spesa pubblica.
Bisogna aver chiaro, quando si parla di allargamento e consolidamento degli incentivi fiscali, che non possono essere esclusi dal piano di prevenzione né gli immobili della pubblica amministrazione, né quelli del sistema produttivo. Al contrario, come già successe in Emilia, la ripresa economica passa per una forte attenzione al sistema produttivo e alla manodopera che non va persa con lunghi periodo di fermo.
Nella discussione di questi giorni, sollecitato dal premier, è intervenuto l’architetto Renzo Piano che ha avuto parole illuminanti sulle modalità della ricostruzione (leggera, in linea con le identità profonde dei territori, anche con l’uso di strutture temporanee purché adeguate allo scopo) e sulla necessità della prevenzione. Piano indica la linea giusta, come già fece per le periferie (e speriamo con qualche risultato pratico in più), ma le sue idee illuminate non devono nascondere uno dei grandi buchi neri italiani: la spaventosa carenza di capacità progettuale diffusa che ancora una volta è venuta a galla in questi giorni scavando fra i passati interventi di presunta messa in sicurezza sismica inadeguati e mal controllati. La questione che va posta, allora, e anche Piano dia qualche idea per risolverla fuori della pastoie burocratiche in cui non di rado si infilano gli Ordini professionali, è quella di una gigantesca operazione di formazione che svecchi i professionisti italiani e li metta in collegamento con le migliori tecnologie disponibili. Il piano di prevenzione deve essere un piano di ammodernamento del Paese che non deve dare spazio a chi interpreta la professione in chiave burocratica. Servono tecnici al passo con i tempi, non notai della progettazione. Inutile dire che occorre anche un adeguamento delle normative tecniche (questo giornale ha denunciato nei giorni scorsi ritardi e inadempimenti) che dia finalmente la dignità che meritano agli interventi di messa in sicurezza sismica, distinguendo i parametri delle nuove costruzioni da quelli di riqualificazione.
Il tema di un adeguato livello di rendimento e di capacità professionale riguarda anche il mondo delle imprese. Renzi ha tirato giustamente in ballo «il modello Anac» per la ricostruzione. Il primo compito dell’Autorità guidata da Raffaele Cantone deve essere quello di usare la ricostruzione per dimostrare come il nuovo codice degli appalti possa coniugare efficienza, celerità, certezze di costi, utilizzando soprattutto il potere regolatorio e di vigilanza dell’Anac. Ma, oltre a questo, va attuato subito, cogliendo questa occasione, il tema del rating delle imprese, distinguendo imprese che già svolgono un lavoro qualificato sul fronte antisismico da quelle che non lo fanno. Il curriculum deve contare sempre più, magari partendo dagli interventi pubblici per poi allargare a quelli privati. Che questo poi sia un rating o una white list, poco importa. Per la buona riuscita dell’impresa, bisogna cominciare a selezionare la qualità.
Inutile negare che resta un problema decisivo di qualità della pubblica amministrazione. I fronti sono molti. Il primo è quello di stabilire una continuità fra l’azione di ricostruzione e quella di prevenzione. Si può immaginare un supercommissario unico o anche un commissario per la ricostruzione (ma sia dotato di poteri ampi contro le inerzie locali di ogni tipo) e una figura responsabile del piano di prevenzione. L’importante è che la mano destra sappia quello che fa la mano sinistra, per evitare di rientrare in forme di segmentazione e conflitti che hanno finora paralizzato l’Italia.
Altro problema della Pa è un problema di semplificazione normativa. Senza scigoliere questo nodo gordiano, nulla funzionerà: inutile farsi illusioni. Il premier ha voluto a tutti i costi - e ha fatto molto bene - il regolamento attuativo della legge Madia che impone per un elenco di opere prioritarie tempi di approvazione amministrativa dimezzati e forti poteri sostitutivi del presidente del Consiglio o del presidente della Regione. Oggi la ricostruzione è un’opera prioritaria e vanno usati tutti gli strumenti di semplificazione disponibili. Ancor più questo vale per interventi spesso complessi come quelli di prevenzione sismica. Il coinvolgimento degli enti territoriali e dei professionisti è una scelta obbligata, in prima battuta. Ma non lasciare sole le popolazioni terremotate significa sì garantire progetti e finanziamenti, ma anche ricordare che la responsabilità politica implica il raggiungimento di risultati, senza alibi. Il regolamento edilizio unico nazionale, fermo da troppo tempo, può aiutare.
Sia i piani di ricostruzione che quelli di prevenzione sono stati messi in crisi in passato da finanziamenti a singhiozzo. I piani pluriennali devono servire a prendere impegni chiari da rispettare nel tempo. Serve però un arbitro, un’Autorità terza che, a difesa dei cittadini, possa controllare l’arrivo effettivo dei fondi programmati. Si è ipotizzato un «modello Anac» che, oltre alla regolazione e alla vigilanza anticorruzione, svolga anche questo compito a tutela della buona riuscita degli interventi programmati.

Esiste anche un fronte con l’Unione europea. La questione è nota: la Ue è disponibile a finanziare una parte della ricostruzione ma non ammette, per ora, fondi e risorse a piani di prevenzione. Per rendere credibile questo nuovo piano straordinario, il governo italiano dovrebbe tenere questi investimenti distinti da quelli della prossima legge di bilancio (anche se inevitabilmente si rifletteranno anche lì in termini di stanziamenti). Una legge ad hoc potrebbe oggi essere più utile allo scopo.

Dal lancio delle prime idee su piani di ricostruzione e “Casa Italia” all’ottenimento dei primi risultati passerà del tempo, fatto di impegni da perseguire con tenacia e costanza. Bisognerà creare strumenti adatti, affrontare temi controversi. Alla politica italiana si chiede non certo unanimismo a tuui i costi, ma una discussione trasparente e civile, fuori di polemiche sterili, nella consapevolezza che questa del terremoto può essere una occasione di riscatto e di dignità, oltre che un modo per risolvere problemi atavici che frenano il Paese da decenni.

© Riproduzione riservata