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Riforme, si riapre la partita nel Pd

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Riforme, si riapre la partita nel Pd

  • –Emilia Patta

Roma

«L’Italia non mangia pane e referendum: se noi politici, e voi della stampa, continuiamo a parlare solo di questo vi segnalo che lo scollamento dalla gente aumenta. Non c’è lavoro in questo Paese qui, poi il referendum vediamo come farlo». E ancora: «Il tema della riforma costituzionale non è il terzo problema, è il quarto il quinto o il sesto». Chi si aspettava l’annuncio di qualche apocalisse da parte di Pier Luigi Bersani - ieri sera intervistato in pompa magna da Bianca Berlinguer alla Festa dell’Unità di Firenze - è rimasto deluso. L’ex segretario del Pd e punto di riferimento della minoranza interna, anzi, ha quasi dato l’impressione di voler derubricare la questione del Sì o del No alla riforma del Senato e del Titolo V a questione non prioritaria per un Paese in cui l’economia continua a stagnare e che per di più è stato colpito solo pochi giorni fa da un sisma che ha provocato quasi 300 morti. E non a caso Bersani, prima di affrontare le questioni più politiche, si lancia in una difesa a spada tratta di Vasco Errani come commissario per il terremoto: «Errani è un uomo delle istituzioni, se serve c’è. E la prova del nove per capire se Errani va bene o no è accompagnarlo, fare un giro nei paesi colpiti dal terremoto in Emilia. Non c’è altro amministratore che, dopo quattro anni da una vicenda del genere, viene applaudito da tutti salvo quattro leghisti e tre militanti dei 5 stelle».

Che succede? L’emergenza terremoto e la scelta di Errani da parte di Matteo Renzi hanno fatto rientrare le critiche della minoranza del Pd? Non proprio. Come ricorda lo stesso Bersani il punto è sempre lo stesso: quello che non va non è tanto la riforma costituzionale, per altro votata in tutti i suoi passaggi parlamentari anche dai parlamentari della minoranza, ma il “combinato disposto” con l’Italicum. «O si cambia la legge elettorale, l’Italicum, tanto sennò non funziona questa cosa qui per la democrazia. L’ho sempre detto, quindi mi aspetto che ci sia questa correzione - ribadisce Bersani -. Bisogna che in questi due mesi sia corretta la legge per l’elezione dei senatori e corretto l’Italicum, se no si prende un abbrivio che io ritengo un salto nel buio». La posizione della minoranza è dunque sempre la stessa: per un Sì della componente al referendum occorre che da parte del premier e segretario del Pd venga una proposta di modifica all’Italicum. I bersaniani hanno già presentato la loro, di proposta: un Mattarellum 2.0 basato sui collegi uninominali e rivisto con il premio di maggioranza alla coalizione (non lista) che arriva prima. Ma è chiaro a tutti che prima del referendum Renzi non aprirà a modifiche, anche perché si attende la pronuncia della Corte costituzionale il 4 ottobre prossimo sulla legittimità dei ricorsi contro l’Italicum presentati dai Tribunali di Messina e di Torino. E ambienti parlamentari vicini alla Consulta accreditano l’ipotesi di un accoglimento parziale del ricorso di Torino: in questo caso un ritocco all’Italicum sarebbe inevitabile. Insomma le variabili in campo sono molte, e naturalmente il primo a saperlo è proprio Bersani. Che non a caso non dà un aut aut temporale, anche se alcuni dei suoi fremono per schierarsi subito per il No, ma parla dei «prossimi due mesi».

Il punto è che Bersani e il giovane Roberto Speranza non hanno intenzione di confondere la loro battaglia con quella di Massimo D’Alema, ormai lanciato verso la costruzione di un vero e proprio partito del No (il 5 settembre a Roma sarà presentato il suo comitato con 150 persone). Da parte di Bersani, che al momento non ha alcuna intenzione di lasciare il Pd o favorire qualche scissione, la cautela è dunque d’obbligo. Mentre l’ex premier una possibile scissione l’ha messa in conto da tempo, e ancora ieri è tornato a illustrare le sue ragioni dal palco della Festa nazionale del partito a Catania: «Renzi a me non interessa, a me interessa il testo della riforma costituzionale. Non esiste un partito del No né un partito del Sì, esiste il Sì e il No. Trovo sbagliato aver spaccato in due il Paese sulla Costituzione che dovrebbe essere condivisa. Il mio modello è la costituente, in cui comunisti e democristiani al tempo della guerra fredda scrissero insieme la Costituzione».

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