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L’Europa resta l’anello debole della crescita globale

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FORUM AMBROSETTI

L’Europa resta l’anello debole della crescita globale

Olycom
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L’Europa (con Australia e Giappone) è l’anello debole della crescita globale da qui al 2020 con una crescita media del 2% mentre gli Stati Uniti aumenteranno il Pil del 2,2%, l’Europa dell’Est e la Russia del 3-5%, l’Asia orientale del 4,1%, quella meridionale del 5,9% e l’America latina del 2,8 per cento.

A lanciare l’allarme è Marcel Fratzscher, economista del Diw, uno dei più importanti istituti di ricerca e think tank tedeschi nonché docente di macroeconomia all’Università di Humboldt di Berlino.

Fratzscher, molto critico con il suo paese che potremmo definire “egemone riluttante”, parla apertamente della “illusione tedesca” (la Spagna e la Francia sono cresciute più della Germania se vediamo il grafico del Pil dal 1999 ad oggi) e che Berlino si culla di un avanzo commerciale eccessivo mentre dovrebbe aumentare la quota di investimenti sia pubblici che privati per stimolare la crescita. Le autostrade tedesche ad esempio hanno bisogno di ammodernamenti per i suoi ponti che sentono l’usura del tempo ed è meglio avere una rete stradale efficiente che un bilancio in pareggio sotto il dogma del rispetto di Maastricht ad ogni costo.

Insomma anche se l’Europa non cresce molto meno degli Stati Uniti è la resistenza agli shock esterni a preoccupare gli investitori internazionali; rischi che sono numerosi a partire dalle tensioni con la Russia, il terrorismo islamico, la crisi dei rifugiati, la lentezza nell’affrontare il tema delle riforme strutturali. Più in specifico l’Europa soffre per la crisi dei rifugiati, Brexit, la volatilità dei prezzi delle materie prime, i default delle banche e la coda della crisi dei debiti sovrani.

Jakob Frenkel, presidente della JPMorgan Chase international, aggiunge a questi rischi sulla fragile ripresa del dopo crisi il fatto che le banche centrali con le politiche monetarie sono arrivate al limite con tassi a zero o addirittura sotto zero. «Molte banche centrali – dice Frenkel - vogliono alzare i tassi e la Fed lo farà a settembre o entro fine anno dopo i dati del lavoro americani che sebbene non siano eccezionali denotano un trend positivo». Ma la vera svolta sistemica emersa al Workshop Ambrosetti è che le banche centrali non ritengono più la stabilità dei prezzi come un rischio sistemico preferendo concentrarsi sulla stabilità finanziaria. Insomma gli istituti centrali stanno abbandonando il dogma della stabilità dei prezzi e se non hanno ancora alzato i tassi è per i timori di ripercussioni sui mercati emergenti che stanno lentamente riprendendosi dopo gli shock borsistici di inizio anno.

Il Qe della Bce ha stabilizzato i mercati dei bond anche se le borse restano volatili e in futuro probabilmente Francoforte allenterà i requisiti di rating per i corporate bond o ne allungherà l’elegibilità delle scadenze. E poi?

Justin Yifu Lin, direttore del Center for New Structural Economics presso l’Università di Pechino e chief economist presso la Banca mondiale dal 2008 al 2012, è positivo sulle prospettive cinesi e prevede una crescita superiore al 6% per il gigante asiatico.

«Il quadro congiunturale appare meno negativo del previsto - commenta Alessandro Decio, amministratore delegato di Sace - I paesi emergenti sono visti in miglioramento, mentre l’Europa rimane l’area più debole: ulteriore conferma della necessità per le imprese italiane di spingere l’acceleratore su export, investimenti e nuovi mercati per catturare la crescita. Segnali incoraggianti provengono oggi dall’Istat, secondo cui l’export è tornato a crescere nel secondo trimestre dell’anno (+1,9% in termini reali rispetto al primo trimestre), contribuendo positivamente alla crescita del Pil».

Molti dei presenti al Workshop Ambrosetti hanno evocato la stagnazione secolare come ricorda spesso Larry Summers, ex ministro del Tesoro di Bill Clinton. «Bisogna andare oltre il Pil - dice Enrico Giovannini, professore di statistica economica all’Università Tor Vergata di Roma – e se tu prometti la crescita verrai deluso. Certo non si può parlare di “decrescita felice” perché la crescita comporta occupazione. In questo senso ha ragione lo storico dell’economia americano Robert Gordon quando parla di innovazioni come Skype che hanno cambiato la nostra vita, ma la cui parte nel mercato non viene misurata nel Pil e quindi non viene convogliata in un aumento della produttività. La soluzione sono maggiori investimenti verso il Green da effettuarsi entro il 2030, come l’Italia ha sottoscritto».

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