BOLOGNA
Figlio della vecchia scuola comunista cresciuto al fianco di Bersani e politico di razza apprezzato anche dalle opposizioni, Vasco Errani è un romagnolo (di Massa Lombarda, Ravenna, dove è nato 61 anni fa e continua a vivere) atipico per il carattere schivo ma non per la concretezza, la tenacia e la capacità di dialogo. Qualità che gli hanno permesso di conquistare una stima trasversale e plebiscitaria nei due anni alla guida della ricostruzione post sisma. Assai più di quanto gli era riuscito nei 15 anni al timone della Regione Emilia-Romagna, che ha governato dal 1999 per tre mandati consecutivi, fino alle dimissioni spontanee l’8 luglio 2014 per il processo Terremerse (con assoluzione definitiva pochi mesi fa, il fatto non sussisteva).
Un ruolo, quello di governatore (e di leader dei governatori, avendo guidato dal 2005 anche la Conferenza delle Regioni) dove la visione rossa e policentrica della res publica si contrapponeva naturalmente alle istanze liberistiche di un tessuto industriale emiliano entrato in un nuovo Millennio di forte crescita e apertura globale. Ma nella gestione della calamità l’approccio cooperativo ed ecumenico ha consentito a Errani di unire a 360 gradi problemi e attori attorno a un unico grande patto (e strategia) per la ripartenza. E sono proprio gli imprenditori, oggi, i primi a riconoscere i meriti dell’allora commissario straordinario per aver costruito da zero un’impalcatura solida che ha rimesso in piedi l’Emilia piegata dalle scosse del 20 e 29 maggio 2012 e da 12,5 miliardi di danni, per metà a carico proprio delle attività produttive, in un cratere che valeva - e vale - il 2% del Pil nazionale.
Per quello che è passato alla storia come il primo “terremoto delle imprese” – 28 morti, meno di un decimo delle vittime attuali in Centro Italia, ma 13mila attività produttive danneggiate e 40mila lavoratori in Cig – Errani si è dovuto “inventare” sia il quadro normativo, in assenza di una legge-quadro nazionale, sia quello finanziario, di fronte all’impossibilità di usare fondi statali oltre il tetto del 3% del debito pubblico. Con un escamotage riuscì ad attivare un gigantesco prestito da 6 miliardi di euro a fondo perduto della Cassa depositi e prestiti, veicolato dalla banche e rimborsato in parte dalla Regione e in parte dallo Stato, con cui ha garantito a cittadini e imprenditori terremotati il rimborso quasi totale dei danni subiti.
Lavoratore strenuo, amministratore rigoroso e di parola – così lo ricordano nei 58 comuni terremotati, la metà già completamente tornati alla normalità – Errani ha impostato tutta la macchina della ricostruzione attorno ai principi della trasparenza e della legalità, sapendo che lo scotto erano lentezza e burocrazia, ma ha imposto la tracciatura informatica di ogni pratica di contributi (Mude per le case, Sfinge per le imprese), l’iscrizione alle white list delle ditte edili anche per contratti tra privati e la costituzione di un gruppo ispettivo interforze, il Girer, per evitare infiltrazioni criminali. E non ha lasciato spazio alla protezione civile, finita l’emergenza, affidando alle istituzioni locali la responsabilità di ricostruire, con priorità chiare: si riaprono prima le scuole, poi le fabbriche (impegnandosi in prima persona con le multinazionali per non farle delocalizzare)e dopo ancora abitazioni e monumenti. Non è quindi un caso se entro fine anno saranno chiusi gli iter di concessione per le imprese, se 7mila progetti di ripristino di abitazioni private (su 10mila presentati) sono già finanziati, mentre sulle opere pubbliche ci sono 2mila interventi ancora da gestire nei centri storici.
«Non posso far miracoli», ripeteva spesso l’allora commissario alla ricostruzione. E i miracoli non sono avvenuti. Ma le critiche che si levano oggi sono più il frutto della burocrazia che dilaga negli enti locali (impauriti dalle autorizzazioni) e dell’arbitrarietà interpretativa lasciata ai nuclei di valutazione Invitalia che responsabilità dirette riconducibili a Errani. In fondo il processo Aemilia o le indagini sul calcestruzzo truccato sono il segno di controlli che hanno funzionato. E le 2.900 famiglie terremotate ancora assistite vanno misurate alle 16.500 rimaste senza tetto quattro anni fa.
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