Più che uno shock, una manutenzione. È questo l’impatto sul sistema Italia delle quattro principali riforme varate dal governo, quella della Pubblica amministrazione, il Jobs act, riforma del settore bancario e del mercato del credito, riforma costituzionale. Bisogna fare di più se si vuole accelerare la crescita e recuperare in tempi rapidi il crollo che c'è stato dal 2008. «Bisogna fare le cose difficili, quelle mai affrontate da più di 20 anni nel nostro paese», dice Nicola Rossi, professore di economia politica e Tor Vergata. Questa mattina avrà il compito di sintetizzare la ricerca che l’Ambrosetti Club ha preparato per il Workshop che si tiene annualmente a Cernobbio per analizzare l’impatto di questi interventi.
«Le riforme si aggiungono alla tendenza di lentissimo recupero che c’è in atto nel paese, un naturale rimbalzo dopo che abbiamo toccato il fondo. Ma in misura non particolarmente significativa. Serve di più: finora si è intervenuto in settori già arati, con l’eccezione delle popolari e del credito cooperativo, dove si è veramente innovato. Bisogna agire dove non si è ancora fatto», continua Rossi. Che indica alcune priorità: la finanza pubblica, e quindi una revisione strategica della spesa; la contrattazione; la concorrenza e la battaglia contro le rendite di posizione. La revisione della spesa, scrive il testo, è essenziale per liberare risorse al fine di ridurre il carico fiscale e migliorare alcuni servizi pubblici. Inoltre altre aree di azione sono l’innovazione, nel senso di incentivi per gli investimenti in ricerca e sviluppo, in particolare per le pmi, e il contrasto alla corruzione.
L’impatto delle riforme, quindi, è scritto nella ricerca curata per Ambrosetti da un gruppo di esperti ed economisti, tra cui appunto Rossi, è di tipo «incrementale» nel senso che si ha un’accelerazione della ripresa piuttosto che «un vero e proprio cambio di marcia del sistema». Occorre «un cambio di passo», anche perché il nostro paese mostra di essere «in grado di reagire». Se si guardano le proiezioni di sintesi sull’impatto delle quattro riforme sull'economia (presupponendo lo scenario attuale, quindi senza eventi shock esterni o interni, specifica il testo), i numeri indicano un aumento del valore aggiunto nel breve periodo (1-3 anni) tra l’1,9 e il 3,4%; nel medio (3-5 anni) tra il 3,2 e il 5,8%; nel lungo periodo (5-10 anni) tra il 5,6 e l’11,3 per cento. «Mezzo punto di pil all’anno, in linea con le previsioni del ministero dell’Economia», dice Rossi. Per quanto riguarda i redditi, nel lungo periodo si avrebbe un aumento tra il 3,8 e il 5,6%, e per i consumi una crescita tra il 2,9 e il 5,2 per cento.
Altro presupposto per questi risultati, sottolinea Rossi, è che le quattro riforme vadano avanti senza ostacoli: «Sono state valutate a valore facciale, presupponendo che non ci siano difficoltà nell’attuazione. Il rischio che la qualità legislativa non sia adeguata allo sforzo riformatore esiste, così come possono esserci difficoltà nell’implementazione». Nel caso più estremo, è scritto nella ricerca, una riforma mal formulata potrebbe portare danni rispetto ai benefici previsti.
Agire su liberalizzazioni, apertura e contendibilità dei mercati avrebbe un impatto importante sull’efficienza del sistema, afferma lo studio, costringerebbe le imprese a competere in modo maggiore sul piano della qualità dei beni e dei servizi offerti ai cittadini e alle imprese stesse. In Italia, si sottolinea nel testo, esistono ancora mercati dove non si applicano le regole economiche della libera concorrenza, ma valgono le rendite di posizione che impediscono a imprese più efficienti di affermarsi sul mercato. Interventi in questa direzione, sottolinea il testo, potrebbero modificare elementi culturali del paese, allargando lo spazio della competitività e del merito. Quanto all’innovazione, l’Italia ha ampi margini di miglioramento nei confronti degli altri paesi avanzati: gli investimenti delle pmi in ricerca e sviluppo sono sotto la media europea. Vista la rapidità dei cambiamenti, l’innovazione «rappresenta una delle poche vie, se non l’unica, per essere competitivi». L’analisi Ambrosetti, costruita con un modello econometrico di circa 400 serie storiche su un orizzonte temporale di 25 anni, utilizzata in questo caso per un’analisi ex post, potrebbe essere utilizzata anche per una valutazione preventiva dell'impatto delle riforme, un approccio necessario per individuare le priorità e la capacità degli interventi di incidere sulla realtà.
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