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I costi occulti di un sistema incerto e complicato

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L'Editoriale|IL CASO ITALIANO

I costi occulti di un sistema incerto e complicato

Le ultime vicende sulla tassazione agevolata delle multinazionali e sulle conseguenti richieste di restituzione da parte dell’Europa hanno nuovamente messo al centro dell’analisi il confronto sulla tassazione dei redditi adottata nei diversi Stati europei.

Il tema è delicato, dato che, a differenza di quanto avviene con l’Iva, per la fiscalità diretta non esiste una armonizzazione europea e i singoli Stati hanno margini di manovra e di scelta autonomi. Il livello della tassazione, quindi, finisce per dipendere non solo dall’esigenza di coprire i fabbisogni di spesa interna, ma spesso si trasforma anche in uno strumento “competitivo”, per attrarre capitali e investimenti produttivi esteri. E come dimostra il confronto sul funzionamento della corporate tax in alcuni Paesi europei che presentiamo oggi, non solo le aliquote, ma anche le regole sono molto diverse da nazione a nazione.

Gli elementi da considerare per una riflessione più profonda sono almeno tre:
• qual è il tax rate effettivo, a prescindere dall'aliquota nominale, adottato dei paesi;

• come incidono le agevolazioni e le norme particolari per determinate categorie di costi o di proventi;

• qual è il livello e il costo delle difficoltà e delle complicazioni che accompagnano la determinazione dei redditi da tassare.

Il discorso sul “total tax rate”, cioè sul prelievo reale, è molto delicato: il confronto tra aliquote nominali, infatti, non tiene conto di un elemento particolarmente rilevante, soprattutto nel sistema italiano, ovvero la differenza tra l’utile di bilancio e il reddito fiscale.

Il reddito imponibile non coincide mai con l’utile ante imposte, a causa soprattutto delle varie voci di costo che sono considerate non deducibili dalla normativa fiscale; le imposte sono determinate su valori maggiori e quindi incidono in bilancio per una percentuale di gran lunga più significativa di quelle nominale. È sufficiente analizzare le note integrative delle società, quotate e no, per trovare facile conferma di questo aspetto. Per l’Italia, poi, bisogna tenere anche conto del fatto che nel nostro sistema c’è un’imposta del tutto particolare come l’Irap, che è determinata su una base imponibile ancora una volta più ampia dell’utile di esercizio. Il nostro Paese, in definitiva, finisce per tassare i redditi di impresa ben oltre il livello che si ottiene semplicemente sommando le aliquote Ires e Irap.

Per quanto riguarda il secondo tema, ossia le agevolazioni destinate a specifiche situazioni, è facile osservare che le discipline fondamentali (riportate nella grafica), ovvero detrazioni per ammortamenti, participation exemption, direttiva madre figlia sui dividendi, fiscalità agevolata per spese di ricerche e sviluppo, patent box per brevetti, sono presenti in tutti gli Stati, al di là delle differenze specifiche di applicazione pratica. Caso mai, su questo aspetto la crescente tendenza alla standardizzazione rischia di penalizzare il nostro Paese, vista la volontà di escludere dalla detassazione le royalties provenienti dai marchi, voce che invece contraddistingue in modo specifico la realtà di creatività industriale italiana.

Oltre a questi aspetti, rimane però una questione non così apparente ma comunque fondamentale, ossia il modo in cui vengono determinate le imposte. Ciò che spesso allontana gli investitori esteri, infatti, non è solo il livello finale di imposizione, quanto anche la presenza nel nostro sistema di lungaggini burocratiche, di adempimenti macchinosi, di rischi fiscali sempre latenti.

Se vogliamo che l’Italia diventi un Paese almeno comparabile, se non competitivo, con l’Europa, la strada da percorrere è ancora lunga. Servono regole più semplici per determinare cosa è imponibile e cosa è deducibile, evitando calcoli astrusi che assorbono inutilmente risorse (un micro esempio per tutti: le regole sui costi delle auto aziendali). Servono imposte con regole di determinazione facilmente comprensibili: prima o poi, sarà indispensabile trasformare l’Irap in quello che comunque è diventata, ovvero un’addizionale dell’Ires calcolata su reddito più interessi passivi più (in parte) costo del lavoro. Ma soprattutto, ancora più urgentemente di queste technicalities, serve un quadro generale che garantisca la certezza nei rapporti tributari, ampliando molto di più l’ambito del ruling preventivo, dando regole e soprattutto tempi certi per il rimborso e la restituzione delle imposte, evitando riaperture e raddoppi di termini di accertamento che prolungano a dismisura i periodi di incertezza nel rapporto con l’amministrazione finanziaria.

Occorre che almeno il fisco faccia la sua parte, visto che il contesto generale non è sicuramente incoraggiante, se teniamo conto dell’immagine di complicazione, burocrazia, oscurità amministrativa e lentezza esasperante della giustizia che il nostro Paese dà di sé all’estero.

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