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Incentivi «monetizzabili» per spingere la prevenzione

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L'Analisi|L’ANALISI

Incentivi «monetizzabili» per spingere la prevenzione

Affrontare il discorso della “prevenzione” dai terremoti vuol dire intervenire sul patrimonio edilizio esistente per aumentare la sua resistenza alle scosse. Una stima dell'investimento è difficile, ma è chiaro che si può ipotizzare una spesa dell’ordine di diverse centinaia di miliardi di euro e non certo di poche decine. Secondo il Cresme gli edifici residenziali ubicati nelle sole zone ad alto rischio sismico costruiti prima del 1970 sono circa 3 milioni. Non tutti hanno bisogno di interventi antisismici, ma probabilmente neanche tutti quelli costruite in seguito sono a posto. Si tratta comunque di alcuni milioni di case, senza contare gli edifici non residenziali.

Il punto è dove reperire le risorse. È troppo ottimistico pensare di attingere solo ai portafogli dei proprietari. Non è neanche pensabile di concentrare sul bilancio dello Stato una spesa che vale molte manovre finanziarie.

Bisogna, allora, trovare una via che riduca l’impegno richiesto ai privati e diluisca nel tempo l’onere per le finanze pubbliche. Nel tentativo di quadrare il cerchio, da più parti si è ipotizzato di potenziare le detrazioni per i lavori
edilizi, che già oggi premiano alcuni interventi per la prevenzione antisismica.

Le rilevazioni del Cresme, però, dimostrano che finora solo una piccola parte delle risorse mobilitata da queste detrazioni è stata destinata alla messa in sicurezza statica degli edifici. Né si possono ignorare alcuni aspetti caratteristici di questi bonus. Ecco perché, se li si vuole potenziare, ci sono tre criticità di cui tenere conto:

1- La detrazione presuppone che il proprietario abbia tutti i soldi per fare i lavori. Oppure che ottenga un prestito e sia in grado di rimborsarne le rate. Il che non è sempre vero;

2 - I contribuenti a basso reddito rischiano l’incapienza (cioè non pagano abbastanza imposte per sfruttare
il bonus);

3 - In condominio, i proprietari privi di risorse o incapienti possono bloccare le delibere sui lavori.

La soluzione potrebbe essere cercata partendo dal modello creato per il sisma del 2012 in Emilia Romagna e Lombardia. I lavori, per chi vuole, potrebbero essere finanziati – almeno per l’importo corrispondente alla detrazione – con un mutuo bancario o con un prestito della stessa impresa di costruzione che realizza l’intervento. In pratica, il proprietario restituirebbe il capitale ricevuto cedendo al finanziatore il proprio credito d’imposta decennale. È un’ipotesi già prevista dalla legge di Stabilità 2016 per l’ecobonus su parti comuni condominiali, sia pure con diverse cautele e limitazioni che ne hanno impedito finora il decollo.

È chiaro che la possibilità di “monetizzare” la detrazione avrebbe un costo per l’Erario. E ci sarebbero da risolvere diversi aspetti applicativi tutt’altro che scontati, compresa la certificazione della bontà degli interventi eseguiti. Ma forse vale la pena di approfondire il tema, individuando le aree e gli edifici più a rischio e cercando di tenere la spesa pubblica relativa ai bonus al di fuori dei vincoli di bilancio europei.

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