Chi pensa che il pasticcio romano che stanno combinando i Cinque Stelle blocchi definitivamente il loro successo farà bene a ridimensionare le aspettative: il tipo di consenso di cui godono movimenti di questo tipo ha uno zoccolo fideistico che è impermeabile a quello che pensano “gli altri”. Basterà ricordare cosa succedeva ai tempi del vecchio Pci duro e puro: gli avversari si davano da fare a mostrare i guai che il comunismo provocava in URSS, poi c’era la repressione in Ungheria e via dicendo, ma il consenso del partito si incrinava di poco.
Ciò non significa che la vicenda romana non avrà ripercussioni su quel movimento ormai avviato, come è inevitabile quando arriva un certo successo, a strutturarsi in maniera più aderente ai suoi nuovi ruoli politici. Sarebbe veramente strano che i vertici responsabili dei Cinque Stelle non si fossero accorti del rischio che corre un movimento quando viene dato col vento in poppa: da un lato molti servitori delle vecchie cause cercano di riciclarsi, più o meno rifacendosi una verginità, dall’altro i nuovi vincitori hanno fame di conoscitori della “macchina” di cui si sono impossessati e magari non guardano per il sottile chi si offre, o addirittura si fanno facilmente abbindolare da chi si presenta come “esperto” (magari capace di contornare la sua “esperienza” con un po’ di musica trendy secondo la nuova moda).
Il problema dei “compagni di strada” è intrinseco ad ogni fase di cambiamento, ma per dominarlo bisogna essere attrezzati bene sia sul piano culturale che su quello organizzativo. Sono due aspetti su cui M5S non è fortissimo. Sul primo versante troppo condizionato dai miti della web-cultura: anche dove non si arriva alle famose “scie chimiche” il pressapochismo nelle analisi e l’amore per gli slogan indeboliscono. Dal punto di vista organizzativo l’affidarsi sempre alle selezioni della mitica “rete” consente facilmente infiltrazioni e manipolazioni e soprattutto non mette al riparo dalle frequentazioni e relazioni pericolose che i candidati possono nascondere più o meno nelle pieghe dei rispettivi curricula. A Roma lo si sta vedendo anche troppo.
Poi naturalmente si devono fare i conti con la realtà del sistema politico, che quanto a gestione è un po’ più complicato di un blog. Per esempio nel caso dei sindaci un errore iniziale nella scelta delle persone si paga poi duramente, perché far cadere un sindaco eletto significa mandare al diavolo una consiliatura e se questo accade entro certi tempi addirittura vedersi appioppato un lungo periodo di commissario governativo. Qualcuno potrebbe ricordare il disgraziato caso del sindaco Del Bono (che era del Pd) a Bologna. Ciò significa che un partito o movimento che sia è praticamente costretto a tenersi il sindaco che ha messo in sella anche se si rivela poco abile o peggio, perché farlo cadere significa nel migliore dei casi andare a nuove elezioni e, come s’è già visto (sindaco Marino), la cosa non porta fortuna.
La mobilità che è difficile e rischiosa sul sindaco è però possibile su assessori e personale di staff, ma anche qui si aprono non pochi problemi. Spesso sono personaggi che è complicato rimuovere, sia per il deficit di credibilità che l’operazione inevitabilmente comporta, sia per la possibilità che si aprano effetti a catena per le varie vendette che i rimossi possono realizzare.
I Cinque Stelle stanno sperimentando tutte queste complicazioni della politica e sembrano poco preparati a gestirle. L’unica arma che sfoderano è la consueta narrazione del “tutti ce l’hanno con noi, perché siamo i riformatori del sistema e li mandiamo a casa”. Argomentazione forse buona per compattare i fedeli ad oltranza, ma più in là non riesce ad andare. In casi così delicati manca, paradossalmente, la leadership che si impone per riportare all’ordine gli sbandati: Grillo e Casaleggio al momento assenti, i volti più noti che si capisce essere in lotta fra loro, ma che pubblicamente non riescono a mettere in campo una azione incisiva.
Se M5S vuole davvero candidarsi a guidare il paese, è bene che dimostri come ha imparato bene la lezione del pasticciaccio brutto romano.
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