Un indizio è un indizio. Due indizi sono una coincidenza. Tre indizi fanno una prova. E nelle ultime sedute di indizi che dipingono un quadro da imminente rialzo dei tassi negli Usa e di freno alle politiche espansive della Bce, sui mercati finanziari ne sono arrivati anche più di tre.
A cominciare dall’andamento di Wall Street di venerdì: l’indice S&P 500 ha perso il 2,45%. Considerato che viaggiava sui massimi storici (e con un multiplo di oltre 18 volte gli utili attesi) niente di stravolgente. La notizia è però che questo indice non aveva un’oscillazione superiore al punto percentuale da 43 sedute. Quindi l’ultimo ribasso - arrivato in un listino che ci aveva abituato a variazioni da mercato obbligazionario - è piuttosto rilevante. Il secondo indizio arriva dai bond governativi europei: dopo 40 sedute il Bund decennale tedesco è tornato ad avere un rendimento positivo. Ergo: è stato venduto in modo robusto, al pari degli altri bond dell’Eurozona (compresi i BTp) i cui rendimenti sono saliti in media di 10 punti base in una sola seduta.
Il terzo indizio arriva dal dollaro: nelle ultime ore si è rafforzato su tutte le principali valute, persino sullo yen giapponese (considerato il rifugio per eccellenza dagli investitori). Quando il dollaro sale è perché riflette crescenti aspettative di un rialzo dei tassi negli Usa. Non a caso (ed è questo il quarto indizio) i future sui Fed-Funds statunitensi hanno ampliato dal 51% al 58% le possibilità che la Fed aumenti il costo del denaro entro fine anno.
Un ulteriore indizio ci dice anche che i mercati non solo da venerdì ma già da questa estate si stanno preparando a uno scenario più restrittivo negli Stati Uniti e meno espansivo da parte della Bce. Si tratta del differente andamento in Borsa dei vari settori. Dai minimi del 6 luglio le azioni delle Borse europee hanno messo a segno un rimbalzo superiore al 10%. Ma ci sono stati alcuni comparti che hanno davvero messo il turbo. In Europa al primo posto c’è quello bancario (+26%, in Italia +30%). Quello del credito è uno dei comparti che più beneficerebbero in caso di arresto della politica ultraespansiva sui tassi. La stessa Bce in un report interno sul bilancio del programma di «Qe» ammette che i tassi bassi penalizzano i margini delle banche.
In estate sono andati molto bene anche settori ciclici come tecnologie (+30% in Europa e +14% in Italia) e auto (+18% e +19%), sintonizzatisi anch’essi sulla prospettiva di una prossima fine del ciclo monetario espansivo (che equivarrebbe all’ammissione di un miglioramento delle prospettive economiche). La prova del nove arriva poi dai settori che hanno fatto peggio: utilities, petroliferi e media. Guarda caso quelli destinati a soffrire di più in caso di stretta monetaria.
Tirando le somme, i mercati in questo momento si stanno riposizionando su uno scenario meno espansivo delle banche centrali. Quanto questo poi sia vero o quanto invece dipenda da una ben precisa strategia basata sugli annunci delle banche centrali, lo scopriremo nei prossimi mesi quando sapremo se effettivamente la Fed avrà alzato i tassi e la Bce avrà entro marzo stoppato il piano di stimoli .
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