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La trattativa sulle pensioni e gli effetti collaterali sul referendum

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politica 2.0

La trattativa sulle pensioni e gli effetti collaterali sul referendum

Referendum e pensioni sono due storie diverse ma non è detto che non si possano sviluppare degli effetti collaterali dalla riforma che ieri si è iniziata a discutere. Innanzitutto si prova a ricucire il fronte con i sindacati. Insistere nello strappo di certo non avrebbe contribuito a portare quel clima, anche sociale, di maggiore serenità che è una pre-condizione per affrontare un voto ad alto rischio.

La correzione di rotta sul referendum si era già notata ma ieri era ben descritta sulla e-news di Palazzo Chigi in cui il leader ha segnalato tutti i passaggi della sua “conversione”. La spersonalizzazione, la messa in sicurezza del Governo e della legislatura rispetto agli esiti referendari, la disponibilità a modificare l’Italicum. Ecco, a questi, si può certamente aggiungere la legge di stabilità, lo strumento finanziario con cui Renzi dialogherà con i cittadini e con quei corpi intermedi – a cominciare dai sindacati – che in questi mesi di campagna referendaria possono essere utili se non decisivi. E di certo tra le varie misure quelle che riguardano il pensionamento anticipato, o gli aiuti alle pensioni più basse, sono un tassello importante perché parlano a una fascia di età che tradizionalmente è più incline a votare che ad astenersi.

Quello che è accaduto sul referendum anti-trivelle è stato un avvertimento che il leader Pd ha bene in mente: nel senso che c’è una larga fetta di italiani che si è già mobilitata contro di lui e che è ancora pronta a farlo con il “no”. Quello che serve al premier è riuscire a mobilitarne altrettanti - più uno - per vincere la sua scommessa.

Ed è sulle pensioni che prova a riprendersi l’attenzione di un elettorato più portato a partecipare e – soprattutto – quel tavolo di riforma diventa un canale per ristabilire un clima di dialogo con i sindacati. È chiaro che qui non si vogliono dare letture forzate o piegate solo sulla scadenza referendaria ma, come sanno tutti i partiti – di destra e sinistra – la materia previdenziale è altamente sensibile sotto il profilo elettorale. E dunque va maneggiata con una cura che non può prescindere dai suoi riflessi politici. Inutile ricordare come saltò il Governo Berlusconi su una riforma che la Lega non volle fare o di come il primo atto del Governo Prodi 2006 fu di abolire lo scalone previdenziale di Maroni su cui il centro-sinistra aveva fatto campagna elettorale. Da sempre le misure pensionistiche hanno un valore in sé ma hanno anche effetti “collaterali” negativi e positivi nelle urne.

Il negoziato che si è aperto ieri è – dunque - l’inizio di un lavoro di ricucitura con una fetta di ceto sociale e con i sindacati dopo uno strappo che era stato forte e a tratti brutale. Dall’abolizione della concertazione, al gelo che ne era seguito, ora si riprende una discussione che contribuisce a svelenire i rapporti con le confederazioni che sono – tra l’altro – molto radicate sui territori e hanno la maggior parte degli iscritti proprio tra le fasce più adulte e i pensionati. Insomma, se la disponibilità a modificare l’Italicum è il passaggio politico indispensabile per ricompattare il centro-sinistra, la previdenza diventa il tassello “sociale” della nuova fase dettata dal referendum costituzionale.

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