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Piano Italia 4.0, effetto leva da 10 miliardi

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Piano Italia 4.0, effetto leva da 10 miliardi

(Ansa)
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Un piano che dovrà mobilitare 10 miliardi di investimenti industriali aggiuntivi e 7 miliardi in più per la ricerca e sviluppo: “Italia 4.0”, il progetto che sarà presentato dal premier Matteo Renzi e i ministri Carlo Calenda e Pier Carlo Padoan probabilmente il 21 settembre, è pronto e si presenta come una cura fatta di incentivi fiscali, sostegno al venture capital, diffusione della banda ultralarga, formazione dalle scuole all’università, centri di ricerca d’eccellenza.

Una bozza del piano, che potrebbe ancora essere oggetto di modifiche, parla di circa 7 miliardi di risorse pubbliche aggiuntive tra il 2017 e il 2020, con effetti di copertura sulle finanze pubbliche spalmati in otto anni. A queste si sommano 7,5 miliardi già stanziati (soprattutto con il piano banda ultralarga). Un “progetto crescita” che va anche oltre il manifatturiero in senso stretto e che l’Italia metterà al centro del G7 del 2017 anche per impostare alleanze con altri Paesi. Nelle stime governative, l’intervento pubblico avrà un effetto leva di 4,5 volte e dovrebbe determinare un aumento degli investimenti privati con focus industriale da 80 a 90 miliardi all’anno e un incremento medio annuo della spesa privata in ricerca e sviluppo-innovazione di 7 miliardi, per passare da 13 a 20 miliardi. Al 2020 il 100% delle aziende dovrebbe essere coperto con banda ultralarga a 30 megabit/secondo, il 50% a 100 mega. Otto milioni di studenti dovrebbero essere coinvolti nel programma Scuola digitale di cui 250mila in alternanza scuola-lavoro sul tema industria 4.0.

Investimenti innovativi

Le cifre elaborate nelle prime riunioni tecniche potrebbero essere parzialmente aggiornate da qui al 21 settembre, ad ogni modo lo schema prevede quattro direttrici di intervento: investimenti innovativi, infrastrutture abilitanti, competenze e ricerca, awareness e governance per sensibilizzare il settore industriale. I primi interventi entreranno già in legge di bilancio, altri probabilmente arriveranno in una seconda fase. Per gli investimenti innovativi, in quattro anni, si prevede un impegno pubblico aggiuntivo di 3,3 miliardi: proroga dell’attuale superammortamento al 140%; iperammortamento per i beni digitali (da definire la percentuale, che oscilla tra il 200 e il 160%) con possibile accelerazione delle tempistiche di ammortamento da 7 a 5 anni; ricapitalizzazione del Fondo di garanzia Pmi per 900 milioni; rifinanziamento con 100 milioni della “Nuova Sabatini”, sezione speciale del Fondo rotativo imprese della Cassa depositi e prestiti. Contemporaneamente, si stima un intervento da 2 miliardi fino al 2020 per rafforzare il credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo elevando il limite di credito massimo per beneficiario (da 5 milioni a 10 o addirittura 20 milioni) e adottando un’aliquota unica al 50% per la spesa incrementale e un premio sulla quota volumetrica.

Meno robusto ma a suo modo ambizioso - 1,5 miliardi di investimenti privati early stage da mobilitare - il pacchetto per il venture capital. In questo caso, circa 270 milioni dovranno servire ad attivare fondi di investimento dedicati all’industrializzazione, un Fondo dedicato a startup Industria 4.0, detrazioni fiscali fino al 30% per investimenti fino a 1 milione in startup e Pmi innovative, assorbimento da parte di società “sponsor” delle perdite di startup per i primi 4 anni.

Merita un discorso a parte lo scambio salario-produttività, parte centrale del piano e probabilmente anche della legge di bilancio. Le stime dell’intervento pubblico potrebbero cambiare in base al perimetro della detassazione di premi di produttività. Con l’opzione più ampia - fino a 80mila euro l’anno di retribuzione lorda e limite massimo di somma agevolabile pari a 5mila euro/anno - l’impegno pubblico arriverebbe a circa 1,2 miliardi fino al 2020.

Banda ultralarga

La manifattura intelligente rischia di essere un miraggio senza le «infrastrutture abilitanti». Che per la digitalizzazione della produzione di Pmi e grandi imprese significa essenzialmente far decollare anche in Italia la banda ultra larga. Nel 2020 - questo il target - almeno la metà delle imprese italiane dovrà essere servita da reti a 100 mega e tutte quante dovranno potere contare almeno su 30 mega. Il piano sull’ultrabroadband già c’è, così come gran parte delle risorse pubbliche che sono state stanziate: 6,7 miliardi tra fondi nazionali ed europei. Il nodo ora è farlo decollare anche in quelle zone del Paese che si trovano a cavallo tra quelle a “fallimento di mercato” - le cosiddette aree «bianche» dove lo Stato sta investendo 3 miliardi (già partiti i primi bandi) perché i privati altrimenti non lo farebbero - e quelle in condizione di concorrenza, le aree “nere” dove ci sono già i privati in campo. Un passaggio cruciale questo perché in queste zone “grigie” («caratterizzate - si legge nella bozza del piano - dalla presenza di un unico operatore di rete a banda larga») ci sono il 69% delle imprese. Qui è previsto un investimento pubblico di 3,7 miliardi che dovrebbero mobilitare anche risorse private con una serie di misure che al momento sono in attesa di approvazione da parte della Commissione Ue: allo studio ci sono voucher per l’attivazione dei servizi di connettività, defiscalizzazioni sugli investimenti, accesso agevolato al credito, assegnazione ai privati della proprietà dell’infrastruttura, ecc. La bozza prevede infine iniziative per la cybersecurity - dal recepimento della direttiva Nis sulla sicurezza delle reti alla formazione sui rischi cibernetici - e per la diffusione di standard comuni.

Competenze e ricerca

Obiettivi ambiziosi anche sul fronte del capitale umano. Si punta innanzitutto a diffondere la cultura della manifattura intelligente già tra i banchi di scuola raggiungendo 8 milioni di studenti della primaria e secondaria attraverso il piano nazionale sulla scuola digitale appena lanciato e altri 250mila studenti delle superiori attraverso l’alternanza scuola lavoro. Lo sforzo sulla creazione di competenze da spendere poi nel mondo del lavoro arriva ovviamente fino alla formazione terziaria. Il piano prevede di stanziare 70 milioni aggiuntivi per sviluppare nuovi corsi universitari 4.0 e master sugli stessi temi per arrivare a formare 200mila studenti e 3mila futuri manager. In pista anche l’ampliamento dell’offerta formativa ad alta specializzazione tecnologica raddoppiando il numero di studenti degli Its (gli istituti tecnici superiori) che gravitano nei settori di industria 4.0. Cruciale infine il dialogo tra mondo della ricerca e imprese: da qui il finanziamento a 900 dottorati di ricerca specializzati (di cui 100 sui big data), il potenziamento del cluster nazionale fabbrica intelligente e la creazione soprattutto di «competence center» legati a poli universitari di eccellenza - i poltitecnici di Milano, Torino e Bari, l’università di Bologna e il Sant’Anna di Pisa - a cui affidare il compito di fare formazione e sperimentare con le imprese le nuove tecnologie 4.0. Per irrobustire questi poli d’eccellenza potrebbe essere prevista una dote di 100 milioni.