A un anno dallo scoppio del “dieselgate” anche il rapporto del ministero dei Trasporti italiano conferma quanto emerso dai rapporti ufficiali già pubblicati a Londra, Berlino e Parigi: tutte le auto diesel vendute in Europa rispettano i limiti alle emissioni inquinanti solo nelle condizioni specifiche degli attuali test. In quasi tutte le altre condizioni, molte li superano; alcune di esse, tra cui le auto del gruppo Fca, sforano in misura maggiore.
Il report italiano, almeno nella sua forma attuale, è meno analitico, sulle possibili cause delle discrepanze, di quanto non fosse per esempio il ponderoso rapporto tedesco; ha la limitazione di aver preso in considerazione solo motori Euro5 non più sul mercato, e un numero di costruttori relativamente ristretto. Le conclusione che si possono trarre non sono però troppo diverse, e a un anno dalla possibile entrata in vigore delle nuove procedure di test europee (Rde, Real driving emissions), i quesiti sollevati dopo il dieselgate restano tutti in attesa di risposta.
I defeat device - i dispositivi volti ad aggirare le norme attivando i sistemi antinquinamento solo in fase di test - sono chiaramente vietati. Ma dove si ferma lo sfruttamento lecito (anche se discutibile nel merito) degli stratagemmi permessi dalla normativa europea, e dove inizia la truffa come quella commessa dagli ingegneri di Wolfsburg? Finora è stato lecito tarare i motori sulle condizioni esatte di test, accettando un degrado delle emissioni in condizioni anche normalissime di utilizzo; non è solo il caso delle accuse rivolte dai tedeschi alla Fiat di spegnere i dispositivi antinquinamento dopo un certo tempo, ma anche quello di vari costruttori tedeschi che a loro volta “staccano” i filtri al di sotto di temperature tutt’altro che polari, e più in generale di calibrature esplicitamente rivolte al rispetto dei parametri di test più che alla minimizzazione delle emissioni in condizioni reali.
Tutti i rapporti pubblicati finora in Europa chiedono a Bruxelles di ridurre le possibili scappatoie e fissare limiti precisi all’utilizzo della clausola che permette di disattivare i filtri antinquinamento «per proteggere il motore». Ma all’atto pratico, tutti gli Stati hanno tollerato per anni lo status quo; anche i tedeschi, che hanno omologato per anni tutte le auto “truccate” del gruppo Volkswagen senza batter ciglio e anche il Governo francese che è poi stato accusato, per il rapporto pubblicato a fine luglio, di aver minimizzato gli elevati valori di emissioni delle auto Renault (di cui Parigi è fra l’altro azionista).
A un anno dallo scoppio dello scandalo si può azzardare anche una previsione: né il report del ministero guidato da Graziano Delrio né quelli esteri sono destinati a spegnere le polemiche tra Paesi sui processi di omologazione e sulle caratteristiche dei rispettivi veicoli. Non sarà facile il ruolo della Commissione chiamata a fare da camera di compensazione tra interessi contrastanti.
Non c’è solo il tema delle regole sulle emissioni: anche quello dei possibili risarcimenti da parte di Volkswagen ai consumatori europei è ancora sul tappeto. Il gruppo tedesco, che si è impegnato a rimborsare gli acquirenti americani dei suoi diesel, ha finora fatto orecchie da mercante di fronte alle richieste di Bruxelles e la commissaria Bienkowska ha avviato un coordinamento delle richieste di risarcimento delle associazioni dei consumatori.
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