Italia

Intervista a Ciampi: ecco l'Italia che vi lascio

  • Abbonati
  • Accedi
Bilancio del presidente del Consiglio

Intervista a Ciampi: ecco l'Italia che vi lascio

Carlo Azeglio Ciampi
Carlo Azeglio Ciampi

Pubblichiamo l’intervista che Carlo Azeglio Ciampi rilasciò il 1° aprile 1994 al Sole 24 Ore al termine del suo incarico come presidente del Consiglio.

ROMA. Carlo Azeglio Ciampi si appresta a lasciare il suo incarico di capo del Governo. In questa intervista a «Il Sole-24 Ore» ha tirato le somme della sua esperienza.

Presidente, che Italia ci lascia?
Ne abbiamo parlato, al Consiglio dei ministri: quando ce ne andremo, tra qualche giorno, lo faremo con la consapevolezza di lasciare il Paese in condizioni migliori di come l'abbiamo trovato. Ma ora è il momento di tornare alla normalità. Mi sono sempre augurato che, dopo le elezioni, ci fosse la possibilità di fare un Governo con un presidente del Consiglio che facesse parte delle Camere. Questo mio è un Governo straordinario per un periodo che e' bene si consideri concluso. Lo dico con serenità.

Ma ci sono stati anche momenti difficili.
Momenti belli, momenti brutti: per carattere non mi abbatto. Veda, alle cose mi ci dedico, mi ci appassiono, lo confesso. Non riesco a farle per burletta: e' un virus che mi hanno trasmesso i miei genitori. C'è stato un solo momento in cui sono stato veramente male: la notte delle bombe. Ero contentissimo: avevamo fermato, alle 5 e mezzo, lo sciopero dei camionisti, sciopero della benzina, blocco delle autostrade. Ci dicevano, giustamente dal loro punto di vista: sono tre anni che non abbiamo visto aumenti delle tariffe. Chiedevano il loro adeguamento secondo l'inflazione. Sarebbe stato il 18, 19% di aumento. E io dicevo: sono tre anni di inflazione programmata: il 4, il 3,5, il 2,5% per il '94. Dunque ero contento per questo primo successo di applicazione, al settore delle tariffe, dell'accordo sul costo del lavoro. Lo dissi ai sindacati: vedete, l'accordo riesce a trasferirsi sui costi del trasporto, che si riflettono sui prezzi al dettaglio. Mi parve che le bombe fossero anche contro quell'accordo.

E la vicenda di cui e' piu' soddisfatto?
L'accordo sul costo del lavoro e l'avvio delle privatizzazioni.

Lei da' un valore largo all'accordo tra le parti sociali.
Non c'e' dubbio: non e' solo politica dei redditi, ma un accordo piu' ampio, con aspetti di politica economica tout court ma anche istituzionali. Grazie a quell'intesa, l'effetto della svalutazione non l'abbiamo consumato. Non soltanto abbiamo avuto nel '93 un avanzo di bilancia dei pagamenti di 13mila miliardi, con un rovesciamento di 45mila miliardi rispetto al passivo dell'anno prima, il che e' spettacolare. Tutto cio' significa ridurre il debito con l'estero, che e' quello piu' pericoloso. Col debito interno, la corda per impiccarci ce l'abbiamo noi stessi. Col debito estero, la corda ce l'hanno i creditori esteri.

Questo senso di moderazione ci ha consentito di passare in mezzo a
una recessione pesante, la piu' dura...

Torno un momento indietro: il fatto importante dell'accordo, al di la' di quello economico, e' l'aspetto istituzionale. E poi, il tutto ha contribuito a quello che io stesso ho posto in prima linea come obiettivo di questo Governo, al di la' della riforma elettorale: la lotta alla criminalita' organizzata, considerata non solo come un fatto di polizia, ma come un fatto sociale. Il pericolo che ho sempre visto e' che fatto sociale e fatto economico si incrocino creando un mix esplosivo terribile. Tutti questi problemi, questi fatti brutti che abbiamo vissuto, gli scandali che hanno colpito i servizi segreti non devono far dimenticare i successi che si sono avuti nella lotta alla criminalita' organizzata. Successi dimostrati dall'arresto di latitanti che lo erano da decenni. Torno ora al suo fatto: lei vedeva l'importanza della...

Di una recessione impietosa, che stiamo attraversando senza scontri.
Certo. Anche le crisi aziendali: le abbiamo tutte gestite con l'impegno del Governo, che e' stato costante in ogni vertenza: da quelle piu' importanti a quelle meno, da quelle grandi a quelle meno grandi che sono pero' le piu' pericolose per il loro valore di innesco. Siamo riusciti, con un po' di fortuna, a gestirle in maniera direi quasi calendarizzata, evitando sovrapposizioni dell'una sull'altra che potevano, anche quelle, essere pericolose. Lo abbiamo fatto con un approccio che ha permesso al Governo di intervenire, quando e' stato necessario _ e' chiaro che se le vertenze se le vedono fra di loro e le concludono le parti sociali, tanto di guadagnato _ con maggiore possibilita' di successo avendo alle sue spalle, a suo credito, l'essere stato promotore dell'accordo di luglio. Questo ci aveva dato, nei confronti di ambedue le parti sociali, credibilita' e, mi consenta, anche simpatia, intesa nel senso etimologico della parola. Si e' visto che il Governo non interveniva nell'interesse di una parte, ma che interveniva in maniera non partigiana e con l'intendimento di arrivare a conclusioni positive.

A volte e' stato criticato, come ad esempio nella vicenda di Crotone.
Crotone e' stata un'operazione positiva. Non c'e' dubbio che ci sono stati alcuni casi di intemperanza: ma vediamo cosa e' successo in paesi a noi vicini: basta gettare lo sguardo al di la' delle Alpi. Noi, al massimo, abbiamo avuto masse operaie che hanno occupato per qualche ora i binari di una ferrovia, come avvenuto a Crotone e a Pordenone. Cio' detto, sono cose certo non desiderabili ne' positive, ma nei Paesi a noi vicini sono avvenuti fatti ben piu' gravi.

Presidente, mi riferivo alle critiche per eccesso di assistenzialismo.
E' chiaro che un disoccupato costa alla collettivita'. In tutti i paesi d'Europa non e' che il disoccupato non prenda una lira: in tutti i paesi d'Europa, ed e' giusto, deve avere qualcosa, altrimenti morirebbe di fame. Quindi il costo c'e'. Piuttosto si e' cercato, dov'era possibile, di volgerlo al positivo: non soltanto quindi i prepensionamenti, che sono forse lo strumento meno valido, ma soprattutto altre forme: accanto alla cassa integrazione, nuovi strumenti di intervento tipo contratti di solidarieta'. Si e' cercato di fare degli ammortizzatori sociali anche strumenti di formazione, in modo da aiutare la riqualificazione del lavoratore dipendente. In fondo, quale e' stato il messaggio di Detroit? maggiore flessibilita', maggiore competitivita' e grande importanza alla formazione.

Non si poteva fare qualcosa di più, magari il lavoro a tempo determinato?
Bisogna farle entrare nella mentalità, queste cose. Sono state tutte scritte per la prima volta nell'accordo sul costo del lavoro. che molti hanno letto come un accordo solamente salariale. E' molto di più: un accordo salariale, un accordo di politica dei redditi, un accordo sociale.

Dunque è uno strumento buono non solo per i tempi di recessione...
Direi che vale non meno per i tempi di espansione, perche' allora avrà meno importanza l'aspetto degli ammortizzatori sociali, ne avranno di più quelli di moderazione salariale. Sarà giusto, in un periodo di vacche grasse, che da parte dei lavoratori si ottenga una partecipazione allo sviluppo reale. L'accordo parte da un punto di riferimento-base: avere occhio al tasso d'inflazione programmato.
L'inflazione non è più un ex post, diventa un ex ante: un punto di riferimento. Tu vuoi quel tasso d'inflazione e quindi tutti i tuoi comportamenti sono legati a quel tasso d'inflazione. Prima salari, profitti erano variabili indipendenti e poi, per l'inflazione, sara' quel che sara'. Secondo fatto: il riferimento e' l'inflazione programmata, con la conseguenza che il lavoratore potra', in alcuni periodi, prendere anche meno del tasso d'inflazione programmato, con una riduzione del salario reale. Ma avra' il diritto di prendere piu' dell'inflazione programmata quando c'e' uno sviluppo di reddito. Anche se c'e' un'intesa, in quell'accordo, secondo la quale la produttivita' deve soprattutto andare allo sviluppo dell'impresa e al sostegno dell'occupazione.

Dunque, e' dentro questa cornice che lei vede un lavoro più flessibile e nuove occasioni di incentivi alle imprese.
A volte ci sentiamo chiedere cose che gia' esistono. Anche per quanto riguarda gli incentivi fiscali all'occupazione. Oggi, quando dico che il Paese e' in condizione di essere tra i primi a partecipare alla ripresa, e' chiaro che la ripresa e' un fatto che va al di la' dell'economia di un singolo Paese ma investe globalmente l'intera Europa. Un paese che ha - mettiamoci dal punto di vista dell'imprenditore - un tasso di cambio particolarmente favorevole e che per di piu', in termini reali e in prospettiva, rimane favorevole, se non ci mangiamo la svalutazione; che ha tassi d'interesse che si sono ridotti del 40%, per esempio sui titoli di Stato e non dico dalle punte drammatiche del settembre del '92 ma dalla situazione gia' normale dell'aprile '93. Ha una moderazione salariale: e non soltanto i salari aumentano poco, ma soprattutto c'e' la tranquillita', la certezza per l'imprenditore, dato che c'e' quell'accordo, che questa tendenza non e' solo di oggi ma ci sara' anche domani. Dato tutto questo, gli imprenditori che non riescono ad avere successo devono badare al loro interno: c'e' qualcosa che non va bene nel manico.

E' finito l'intervento straordinario nel Mezzogiorno. La sua idea su questo punto qual'e': il Mezzogiorno ha dentro di se' la forza per andare avanti e crescere senza che il resto del Paese trasferisca ancora risorse?...
Trasferimenti al Mezzogiorno ce ne vogliono ancora. E' il modo con il quale questo trasferimento ha avuto luogo che deve essere cambiato. Qui si torna alla questione di un intervento non piu' imperniato su una programmazione di tipo statale ma a un'impostazione di carattere piu' liberistico. Non sono mai stato uno statalista, pero' non sono neanche quello che dice: «Il mercato, poi venga quello che viene». La' dove ci sono situazioni particolari bisogna anche intervenire per aiutare, come del resto lo spirito comunitario prevede tra paesi europei più ricchi e paesi più poveri.

Il Sud ha tanti giovani disoccupati. Che futuro per loro?
Il futuro non scende dal cielo. Ci vuole buona volontà; e regole nuove, che ridiano elasticità al mercato del lavoro. E scuola, molta buona scuola. E poi, bisogna lavorare anche sulla mobilità delle persone. Questa idea, che in fondoè anche una forza, di rimanere laddove sei nato... sarà anche bello: dimostra un attaccamento alle tradizioni, però deve avere un limite. Ci sono zone d'Italia con tassi di disoccupazione inferiori al 5%. Quindi mobilità: cercare di aiutarla, di attivarla: convincere le persone a uscire di casa.

Si fa una grande discussione sulla disoccupazione, sul lavoro, ed è giusto. Ma non si dice mai che c'è almeno mezzo milione di persone che vengono dall'estero a lavorare da noi.
In Italia, alcuni tipi di lavori sono ormai considerati non ambìti, e neanche accettati in casi di necessita'.

Come lei diceva, e' anche una questione di mentalità: le famiglie fanno da ammortizzatore sociale.
E' il concetto della ricchezza misurata non più sull'individuo ma sulla famiglia. E c'è, a volte, una domanda e un'offerta di lavoro ambedue insoddisfatte. Tempo fa, in Puglia una fabbrica ha cercato 800 persone e non le ha trovate.

Le privatizzazioni, presidente. C'era un po' di scetticismo sul fatto che si sarebbe venduto e su chi avrebbe comprato.
Quando le cose si vogliono veramente, si fanno. Mi sono messo subito all'opera, si e' visto quello che mancava sotto il profilo procedurale, l'abbiamo completato. Eppoi c'e' stata quest'idea del comitato per le privatizzazioni: di legare cioe' le procedure burocratiche, che erano un po' incagliate, col mercato. E questo con quattro uomini di specchiata onestà e di specchiata validita' finanziaria. Secondo: fissando calendari definiti, facendo quando necessario pressioni su coloro ai quali competeva procedere. Cosi' si sono fatte le privatizzazioni. E, oltre a quelle grosse, importanti (Sme, Credito italiano, il Pignone, la Comit) ne sono state fatte una serie di medio-piccole, che sono numerosissime. Rimasi quasi sorpreso, quando parlai col presidente dell'Eni che diversi mesi fa, prima della vendita del Pignone, mi disse che aveva gia' incassato mille miliardi. E con un'accelerazione forte per Comit e Credit. Il Credito italiano non era nel calendario iniziale, ma io dissi: «dev'essere fatta entro la fine dell'anno». Eppoi, per la Comit presi penna, carta e calamaio e scrissi al presidente dell'Iri dicendo: «Entro il 25 di febbraio, Comit dev'essere privatizzata». Lo è stata con una settimana di ritardo.

Si diceva anche: in Italia, figurati se i politici mollano l'osso...
Si diceva: non ce la fate perche' in Italia, con le difficolta' procedurali, l'incapacità di decidere, non ci sarebbe mai stato il coraggio di fare una scelta. Poi si diceva: non ci sono i mezzi finanziari. Invece, la riduzione dell'onere per interessi ha liberato risparmio privato. Poi ci dissero: avete deciso di privatizzare alla fine dell'anno. Ma come! In quel periodo ci sono importanti emissioni di capitali di societa' private: vanno a scontrarsi! Ci pensate a quale è stato l'ampliamento delle dimensioni della Borsa? Fino a pochi anni fa gli scambi arrivavano a stento ai 100 miliardi a seduta, oggi siamo dai mille ai 1.400 miliardi: dieci volte tanto. E il mercato secondario dei titoli di Stato: oggi vi si macinano ogni giorno dai dieci ai tredicimila miliardi in perfetto ordine. Si diceva: «il mercato italiano è asfittico». Era come rimproverare un automobilista: «Vai troppo piano!» Per forza! Aveva ancora l'automobile con le gomme piene, o il 18 BL di quando ero giovane. Prova invece a dargli una macchina veloce. E così la borsa: va piano. Per forza: le contrattazioni non riuscivi a farle, per regolarle era un problema, c'erano ritardi enormi. C'era la consegna materiale dei titoli, tutti i timbri da mettere, girate da fare.

Ritornando alle privatizzazioni: ci sono state discussioni su come
debba essere la proprieta'.

Guardi: a proposito di noccioli, non noccioli e nocciolini, il 20 ottobre scorso dissi chiaramente al Parlamento che l'approccio del Governo era pragmatico, che c'erano alcuni casi in cui era opportuna la public company, altri in cui bisognava puntare a vendite direi quasi individuali, altri che richiedevano il nocciolo duro. Abbiamo fatto gli uni e gli altri. Si e' fatta la public company per il Credito italiano e la Commerciale, si e' fatta una vendita con la Sme, si e' impostato un discorso di gruppo di riferimento con la Stet. Sono state attribuite al Governo opinioni divergenti, ma sulla conclusione per la Stet i tre ministri interessati sono tutti convinti che e' la soluzione migliore. Il che dimostra che ci sono persone, a capo dei gruppi pubblici e al vertice dei ministeri, che ragionano con la loro testa. E di fronte a realta' particolari, ragionando arrivano a conclusioni concordi. Mi sembra una grande dimostrazione di efficienza esser liberi non solamente dalle influenze dei partiti, ma anche da condizionamenti intellettuali, del genere: «c'e' quello schema, bisogna seguirlo a tutti i costi».

Presidente, ma non e' che si e' venduto soprattutto per via dei
troppi debiti?

Non dimentichiamo la situazione difficilissima in cui l'Iri si trovava solo otto mesi fa. Oggi l'Iri è decisamente sulla strada del risanamento. Ora si libererà, tra un mese-un mese e mezzo, sempre con le privatizzazioni, anche della siderurgia. E' stato doloroso prendere le decisioni su Taranto e attuarle. Avevamo un doppio problema: uno locale, col dover purtroppo ridurre gli occupati di diverse migliaia di unità: oltre diecimila persone. Al tempo stesso c'era un problema con la Comunita': non e' stato facile “strappare” a Bruxelles il terzo forno. Abbiamo risolto questi problemi non solo perche' abbiamo dei buoni rapporti con le persone. La fiducia reciproca derivante sia da rapporti antichi, sia dal modo in cui questo Governo ha operato hanno fatto si' che potessimo dire «signori, ma voi volete che l'Italia metta le cose a posto o che l'Italia si scassi? Se dobbiamo mettere le cose a posto non si può esagerare. E quindi il terzo forno deve rimanere». E l'abbiamo ottenuto.

In fondo, lo Stato vende anche perchè l'Europa impone delle regole, a noi come agli altri.
Non c'e' dubbio: in questo caso, l'Europa ha un problema di risanamento della siderurgia comunitaria e quindi ci poneva delle regole. La Comunità non faceva differenza tra il fatto che noi risanassimo mantenendo pubblico o privatizzando: non entra in questi aspetti. Ma è chiaro che risanare settori come quello siderurgico senza imboccare la strada della privatizzazione sarebbe stato molto più pericoloso perchè, al fondo, non modificavi la mentalità degli operatori del settore.

Lei ricordava il mercato secondario dei titoli. In questi anni non si è posta molta attenzione sul fatto che quella e' una sorta di votazione quotidiana...
Istantanea.

Infatti. E che i cittadini italiani, nonostante abbiano una grande libertà nel movimento dei capitali, hanno continuato a comprare titolo di Stato. Mi sono fatto l'idea che tra il mantenimento di questa libertà e la solidita' della nostra democrazia ci sia una connessione molto stretta.
Sono d'accordo. Per questo, nell'affrontare la crisi valutaria, mai abbiamo pensato a un ritorno al protezionismo. Senza voler riandare alle vecchie dispute tra Einaudi e Roepke, c'è differenza tra liberismo e liberalismo. Pur non essendovi a mio avviso una contraddizione tra democrazia e protezionismo (si puo' avere un regime democratico con un certo grado di protezione), non c'è dubbio che la liberta' del mercato è la forma di gestione piu' consona a una democrazia avanzata. In sostanza, penso che una democrazia avanzata non può coesistere con una forma di protezionismo economico. Per noi, penso che un ritorno al protezionismo sia impossibile. Lo abbiamo vissuto, in passato: avveniva una crisi valutaria e il primo provvedimento era chiudere qualche “saracinesca”. Di recente abbiamo avuto crisi valutarie gravi ma nessuno di noi ha pensato di chiudere saracinesche.

Sono strumenti ancora utili nell'armamentario di un Governo?
Come la penso io, credo di averlo dimostrato non avendoli presi in considerazione neanche in momenti particolarmente difficili. Sia prima, sia ora come presidente del Consiglio li ho considerati ormai oggetti da museo.

Questo però significa che il debito pubblico, per la sua dimensione, è cosa da maneggiare con enorme cura.
E' una questione talmente seria che vorrei raccontarle una piccola storia. Quella del mio dentista. L'ultima volta, al termine della seduta, facendo quattro chiacchiere, gli ho detto: «Fino a un anno fa, quando venivo da lei, mi faceva sempre la stessa domanda: mi posso fidare dei titoli di Stato? Stavolta invece la domanda non me l'ha fatta». Qualcosa e' cambiato: quella preoccupazione, il fatto che allora si ritenesse un'ipotesi non infondata che si potesse ricorrere a una grande operazione, consolidamento e patrimoniale, come unica via per risolvere il problema dell'indebitamento pubblico. Con l'operare di questo Governo si e' dimostrato che la strada virtuosa di gestione del debito esiste, e che l'abbiamo imboccata. L'ho sempre detto: politica estera e politica economica, a mio avviso, hanno due binari ben definiti: qualunque Governo venga non puo' non seguirli, sia pure con qualche variante.

Lei pensa che ci siano ancora dei grandi risparmi da fare sulla spesa pubblica?
Molti risparmi possono essere fatti attraverso l'efficienza. Sono quelli che costano di meno in termini di sacrifici e che rendono di piu'. Certo, ci sono ancora tagli da fare su alcuni aspetti della spesa , ma soprattutto i risparmi devono avvenire attraverso il recupero di efficienza. Un risparmio e un miglior servizio al cittadino. Questo Governo ha impostato il problema (l'ha impostato, non risolto) e, nelle cose che ha fatto, i benefici sono lenti a maturare. Ma molte cose sono state fatte, soprattutto con i provvedimenti messi a punto dal ministro Cassese.

E quindi, si puo' alleggerire il peso del fisco in connessione con
questi risparmi?

Il Governo, nel '94, ha allentato la pressione fiscale dell'1,2% sul '93, per via di una serie di imposte straordinarie che non sono state rinnovate. Questo anche per doveroso rispetto del cittadino: altrimenti imposte straordinarie messe per un anno diventano ordinarie l'anno successivo. Lo ha fatto anche perche' c'era una recessione grave che avremmo ulteriormente aggravato. Al tempo stesso, aggravando la recessione, avremmo anche aumentato la spesa. Oggi, questo Governo ha onestamente fatto una previsione per il '94 peggiore di quella del settembre scorso. I famosi 15mila miliardi. Il cosiddetto “buco”, che non e' un vero buco, ma un buco previsivo. Provvedimenti fiscali per recuperare quello che manca, pero', sarebbero un'operazione puramente contabile perche' l'aumento delle tasse oggi, in questa situazione, produce solo sulla carta una maggiore entrata. Infatti, entrando nella carne dell'economia, darebbe meno sviluppo, meno redditi, meno entrate e piu' spese. Quindi non serve a niente. Per recuperare questa differenza, che al netto della congiuntura abbiamo stimato in 5mila miliardi, ci vorranno provvedimenti appropriati, di tipo diverso. Operazione non dissimile da quella che questo Governo fece al suo esordio. allora non ci fu nessuno scandalo.

Quando lei torno' dal suo rapido viaggio in America, era molto rincuorato. In una situazione internazionale del tutto nuova e per un Paese imbrattato dagli scandali, lei riporto' con la precisa sensazione che la comunita' internazionale avesse fiducia nell'Italia.
L'operazione di recupero di credibilità, che è stata l'obiettivo principale di questo Governo, ha avuto il maggiore successo proprio all'estero. I discorsi che facevo ai miei interlocutori, da Clinton a Kohl, erano molto semplici: l'Italia, dicevo, è un Paese in trasformazione. Sta facendo un'operazione unica al mondo, la sta facendo con il massimo dell'ordine, gli elettori votano e accettano i risultati con compostezza. E quanto avvenuto domenica e lunedì lo dimostra. Il Parlamento sciolto ha lavorato bene, è stata fatta una legge elettorale nuova. Oggi ne vengono messe in evidenza pecche, cose da emendare. Ma è una legge che è stata capace di modificare profondamente la composizione del quadro politico. E il mercato finanziario ci ha dato, sin dalla primavera scorsa, un'ampia dose di fiducia. Se vede i tassi d'interesse sui titoli di Stato, nel giro di sei mesi, da aprile '93 all'autunno hanno avuto una riduzione dell'ordine di 4-5 punti percentuali.

E nell'azione internazionale, qual'e' il bilancio?
Mi dà fastidio quando si dice che questo Governo non ha avuto politica estera. L'ha avuta, ed è stata quella portata avanti dal ministro Andreatta. E il sottoscritto non si e' limitato a partecipare alle assise internazionali, ma ha tenuto i rapporti bilaterali. Lei ha accennato alla visita a Clinton. Sottolineo una cosa sola: il presidente Clinton sarà in Italia per il G7. Non solo: venendo in Europa per il 50* anniversario dello sbarco in Normandia, ha deciso di andare non solo in Inghilterra e in Francia: verrà anche a Roma e ad Anzio. Una grossa dimostrazione di attenzione al nostro Paese.

L'Europa batte la fiacca, presidente. E' un momento difficile.
E' vero. Ma noi abbiamo sempre sostenuto e sosteniamo che, accanto al tema dell'ampliamento della Comunità e della grande attenzione che si deve rivolgere ai paesi dell'Est, non bisogna dimenticare i problemi della vera integrazione europea, cioe' l'attuazione del trattato di Maastricht. Altrimenti veniamo meno all'impostazione per la quale i paesi fondatori hanno operato per generazioni, perdiamo un riferimento che non è solamente ideale, ma che e' per il futuro dell'Europa. Perchè o l'Europa si fa attraverso lo schema di Maastricht, oppure cambiera' in maniera non regolata, non guidata, con tutti i pericoli che possono derivarne. C'è poi il Mediterraneo. L'Italia vi svolge una funzione fondamentale: è il Paese di congiungimento dell'Europa mediterranea con la Mitteleuropa. E' importante quindi che questa componente mediterranea continui ad essere integrata in pieno equilibrio con quella europea e, al tempo stesso, come area di confronto fra Nord e Sud, tra i paesi ricchi e sviluppati e i paesi poveri dell'Africa. Fra i paesi con sviluppo demografico zero e quelli a crescita demografica ancora forte. Ritengo che la storia dei prossimi decenni sarà in gran parte influenzata dal modo in cui si svolgerà il rapporto tra Nord e Sud, tra Europa, Africa e Asia minore. Ma anche l'America e' coinvolta, e lo sente. E non solo per il Medio Oriente, per l'importantissima realtà di Israele e degli arabi.

Se questi amici, che lei ha in giro per il mondo, Clinton, Kohl, e che si fidano del suo giudizio, le chiedessero: «Carlo Azeglio, cosa è successo da voi domenica e lunedi'. Siete sulla strada giusta o no?».
Risponderei questo: l'Italia ha dato tante prove di maturità, fidatevi. Queste elezioni hanno visto, in sostanza, risultati che avviano quell'impostazione che si voleva dalla nuova legge elettorale: il venir meno della grande frammentazione del Parlamento italiano. E' chiaro che si tratta di una prima fase. Per anni abbiamo lamentato l'incapacita' del sistema di cambiare. Non c'è dubbio che in queste elezioni il rinnovamento, il mutamento abbiano avuto un inizio subitaneo. Ora sta agli uomini chiamati a governare rendersi conto della realtà del Paese, di quello che è possibile e doveroso fare e anche dei modi nei quali occorre farlo.
Se posso trarre una conclusione dalla mia esperienza in questo palazzo, è che l'importanza dei risultati sta in gran parte nel modo in cui li persegui. Questo è fondamentale. Si deve guardare al di la' del risultato del “giorno per giorno”; quando risolvi un problema, bisogna preoccuparsi non solamente di quel problema, ma anche di quelli che saranno i problemi futuri. Insomma, dare una grande importanza al metodo con cui lo affronti. Solamente se, nella soluzione di un problema, si è creato un rapporto di fiducia umana si può poi, con lo stesso interlocutore, trovare il modo di affrontare e risolverne di nuovi.

Ma lei mi sta dicendo che la lealta', in politica, paga?
Certo. E questo vale anche per i rapporti internazionali. Occorre parlare con chiarezza ai propri interlocutori. Avevo appena conosciuto il presidente Clinton a Tokio, e la sera ci trovammo a cena dall'Imperatore. Arrivo' il presidente Eltsin, che non conoscevo se non di sfuggita. Clinton mi presento' come il nuovo presidente del Consiglio italiano. E aggiunse: «E' un uomo straightforward», uno che parla chiaro. Il fatto e' che sulla Somalia gli avevo appunto parlato chiaro: «Stiamo sbagliando tutto. Siamo andati per far la pace, e se si vuol portar la pace non si possono lasciar le cose completamente in mano ai militari. Sono bravissimi, ma non e' il loro mestiere».

E se lei, che parla chiaro, dovesse dare un consiglio a chi verrà a Palazzo Chigi?
Ora, non spetta a me dare consigli. Ma chi verrà in queste stanze, forse dovrà avere più attenzione a quello che il mio Governo ha fatto.

© Riproduzione riservata