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Il Senato «sfilacciato» e la partita di Renzi

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Il Senato «sfilacciato» e la partita di Renzi

  • –Emilia Patta

Disponibiltà, disponibilità, disponibilità. Ma sono gli altri, intendendo per gli altri le opposizioni e non certo la minoranza del Pd, a dover fare le loro proposte per cambiare eventualmente l’Italicum. La palla insomma Matteo Renzi l’ha ributtata nel campo avversario. E a guardare le proposte uscite dalle mozioni presentate e bocciate ieri dalla Camera e dal dibattito politico delle ultime settimane c’è da mettersi le mani nei capelli: se il Movimento 5 stelle ripropone un po’ provocatoriamente un sistema sostanzialmente proporzionale con le preferenze come nella prima Repubblica (l’unica differenza sono le piccole circoscrizioni), Alleanza popolare - la cui posizione è poi rientrata nella generica mozione della maggioranza scritta assieme al Pd - chiede la reintroduzione del premio alla coalizione invece che alla lista e l’abolizione del ballottaggio. Forza Italia da parte sua attende indicazioni più precise da Silvio Berlusconi, e comunque rimanda a dopo il referendum ogni discussione sulla legge elettorale: ad ogni modo non è un mistero che il premio alla lista fu ingoiato dai parlamentari azzurri per disciplina ai tempi del Nazareno mentre il ritorno al premio di coalizione è caldeggiato da quanti, e sono molti, ritengono necessaria l’alleanza con la Lega per tornare ad essere competitivi. Neanche il ballottaggio è mai piaciuto in casa azzurra e la sua eliminazione, visto che il centrodestra è terzo secondo i sondaggi dopo Pd e M5S, farebbe in modo che Forza Italia resti in ballo per la formazione di un governo di larga coalizione. Poi, naturalmente, ci sono le variegate posizioni interne al Pd: la minoranza bersaniana ha annunciato ieri la presentazione in Senato della sua proposta Mattarellum 2.0 basata sui collegi uninominali, da sempre invisi a tutto il centrodestra, mentre dalle parti dei “giovani turchi” di Matteo Orfini si vagheggia un sistema greco, ossia un proporzionale con premio di maggioranza del 15 per cento.

Se a questa varietà di posizioni sulla legge elettorale si aggiunge la sfilacciatura che hanno subito i gruppi parlamentari in Senato dall’inizio della legislatura apparirà più chiaro che una congiunzione astrale che metta d’accordo una maggioranza ampia su una nuova legge elettorale difficilmente sarà ripetibile. Innanzitutto il partito di Berlusconi si è spaccato in 4: Forza Italia, Nuovo centrodestra di Alfano (ora Ap), verdinani e fittiani. Scelta civica si è addirittura sciolta: 6 senatori sono confluiti nel Pd e un paio (tra cui il senatore a vita Mario Monti) sono nel gruppo delle Autonomie. Dal M5S sono fuoriusciti, spargendosi nel gruppo Misto o in altri gruppi, ben 19 senatori. E poi ci sono i 3 senatori ex leghisti di Tosi che sono uno dei tanti sottogruppi del Misto, e naturalmente c’è il gruppo Grandi Autonomie nato dalle costole azzurre a inizio legislatura per avere un voto in più in Capigruppo... «È difficile che si possano fare delle modifiche chirurgiche alla legge elettorale in una situazione del genere, se rientra il testo in quest’Aula ognuno ci metterà del suo», dice non senza un certo sconforto Luigi Zanda, che a Palazzo Madama si ritrova a gestire l’unico gruppo rimasto intatto nonostante i distinguo della minoranza bersaniana (ad uscire dal gruppo del Pd è stato solo Corradino Mineo). Quali modifiche all’Italicum potrebbero passare in un’Aula siffatta? Ad occhio - è il ragionamento di Zanda - una maggioranza si troverebbe solo sul ritorno al premio di coalizione se il Pd nel suo complesso fosse d’accordo. «Ma conviene al Pd?», aggiunge.

Ecco, al Pd non conviene. Almeno al Pd che ha in mente Renzi. Perché il Pd una coalizione non ce l’ha. A meno di non voler “imbarcare” il partito di Alfano, ma con il forte rischio di perdere voti a sinistra. E a meno che non si pensi a una coalizione con quella parte del mondo vendoliano che guarda all’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Le voci sulla disponibilità a reintrodurre il premio di coalizione sembrano dunque avere più che altro lo scopo di tranquillizzare l’alleato centrista. Quanto al ballottaggio, Renzi non ha nessuna intenzione di abbandonarlo - almeno al momento - perché lo considera, in un sistema ormai tripolare, l’unica garanzia di governabilità. La scelta di lasciare l’iniziativa alle opposizioni serve dunque a separare da un parte il discorso Italicum dal referendum costituzionale, e dall’altra a dimostrare che - salvo miracoli - per un’alternativa all’Italicum non ci sono i numeri. Certo, se poi al referendum dovessero vincere i No si aprirebbe tutt’altro scenario. Ma questo naturalmente il premier e il “suo” Pd non se lo augurano.

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