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La strada stretta di un mix delle tante forme di flessibilità

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L'Analisi|L’ANALISI

La strada stretta di un mix delle tante forme di flessibilità

Non più il ricorso a nuova flessibilità per il 2017, attraverso le clausole già autorizzate da Bruxelles nel 2016 (riforme e investimenti). Strada preclusa dai più recenti orientamenti dei governi in sede Ecofin e della stessa Commissione Ue. Quanto piuttosto l'indicazione “secca” del nuovo target del deficit nominale (probabilmente 2,1-2,2%) cui andrebbero ad aggiungersi le spese conteggiate “fuori” dal Patto di stabilità. Una partita che – stando alle ultime indicazioni – vale attorno agli 8 miliardi e si dovrebbe concretizzare in uno spazio di manovra collegato a due eventi eccezionali: le spese da sostenere per la ricostruzione delle zone terremotate e per la messa in sicurezza degli edifici, l'ulteriore costo per l'emergenza migranti.

Cambiano gli addendi, con il risultato (atteso) di far lievitare il deficit del prossimo anno dal programmato 1,8% nei dintorni del 2,5% se non oltre. Il nuovo target di partenza sarebbe a questo punto sostanzialmente il linea con la revisione al ribasso delle stime di crescita (1,1% rispetto al precedente 1,4 per cento). Il resto andrebbe ascritto alle nuove emergenze da affrontare. Formalmente dunque, con la Nota di aggiornamento al Def che il Governo si accinge a presentare in Parlamento e a Bruxelles, non vi sarà alcuna richiesta esplicita di nuova flessibilità.

La manovra di bilancio di metà ottobre dovrebbe recepire, in caso di via libera, i nuovi target e dunque attestarsi nei dintorni dei 25 miliardi, 8 dei quali recuperati attraverso l'incrocio della vecchia e nuova flessibilità, che andrebbero a sommarsi ai 6,4 miliardi già ottenuti in maggio attraverso l'incremento del deficit dall'1,4 all'1,8 per cento. Le restanti risorse andranno reperite con tagli alla spesa e nuove entrate. L'intero spettro degli interventi allo studio sarà destinato sia a neutralizzare le clausole di salvaguardia pronte a scattare dal prossimo anno (aumento di Iva e accise per 15,1 miliardi) sia a finanziare le misure dirette alla manovra vera e propria (dal pacchetto pensioni agli interventi a sostegno della domanda interna).

In arrivo dunque la nuova versione della voluntary disclosure, accanto al pacchetto di misure antievasione dirette ad accrescere per quanto possibile il livello dell'adesione spontanea al versamento delle imposte (la tax compliance), cui si aggiungerebbe un pacchetto di tagli alla spesa. Non si tratterà di importi particolarmente rilevanti, probabilmente al di sotto dei 7,2 miliardi iscritti in bilancio con la legge di Stabilità del 2016. Secondo quanto ha annunciato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, lo spazio effettivo per nuovi tagli si è obiettivamente ridotto, e vanno messi nel conto anche i possibili effetti recessivi di una nuova, drastica sforbiciata sul fronte della spesa corrente primaria.

Se questa sarà la struttura e la composizione della prossima manovra di bilancio, gli auspicati effetti “espansivi” sono in parte connessi all'auspicata inversione del ciclo internazionale, in parte alle misure in cantiere, con diverse incognite. Nella partita con Bruxelles va inserita infatti un'altra variabile non da poco: in che misura – stante l'attuale disciplina di bilancio europea – potrà essere assicurata la riduzione del deficit strutturale (il saldo al netto degli effetti del ciclo e delle una tantum) in direzione dell'obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio)? Con il Def dello scorso aprile, l'appuntamento è slittato al 2019, ma occorre tener conto della richiesta avanzata in maggio dalla Commissione europea a operare nel 2017 un taglio del deficit strutturale pari ad almeno lo 0,6% del Pil.

Invito motivato dalla constatazione che quest'anno si registrava (alla luce del quadro previsionale della scorsa primavera che ora sarà rivisto al ribasso) un peggioramento di 0,7 punti del saldo strutturale, mentre per il 2017 era previsto un miglioramento limitato allo 0,1 per cento. Da qui l'interrogativo che ora andrà sciolto: occorrerà comunque assicurare una pari o maggiore correzione dei saldi di finanza pubblica, oppure basterà attribuire il peggioramento dei tendenziali alla minore crescita? Questa – a ben vedere – sarà la vera partita e vi è attendersi un confronto tecnico-politico dagli esiti a dir poco incerti.

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