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Addio grandi migrazioni Sud-Nord: l’Italia ora si sposta all’estero

Una scena tratta dal film «Rocco e i suoi fratelli» (Marka)
Una scena tratta dal film «Rocco e i suoi fratelli» (Marka)

Da una parte continua ad aumentare il numero di italiani che si sposta all’estero: nel 2015 ha sfiorato 108mila secondo i dati Aire, in crescita di oltre il 6% rispetto all’anno precedente. Oltre metà di loro appartengono alla fascia di età tra i 20 e i 40 anni, a riprova delle difficoltà occupazionali per i giovani. Nel decennio 2006-2015 gli italiani espatriati hanno raggiunto quota 817mila , con il numero complessivo dei connazionali ufficialmente residenti all’estero che al 31 dicembre 2015 ha oltrepassato i 4,8 milioni.

Dall’altra parte, a fronte di questa robusta emigrazione oltreconfine, nel nostro Paese i livelli di mobilità interna sono bassi e geograficamente limitati. Come spiega su Neodemos.info un recente studio di Roberto Impicciatore (ricercatore all’Università di Bologna) e Salvatore Strozza (docente di Demografia all’Università di Napoli Federico II), i vari confronti internazionali «mostrano che la mobilità interna in Italia risulta mediamente più bassa rispetto non solo agli Stati Uniti, noti per la ridotta radicalizzazione sul territorio delle persone, ma anche alla maggior parte dei Paesi europei». Si emigra all’estero, insomma, ma sempre meno in Italia.

La minore propensione italiana a cambiare campanile nazionale ha varie cause: la rigidità del mercato immobiliare (con alte percentuali di proprietari di case e rari incentivi all’affitto), il ritardo nell’uscita dei figli dalla casa dei genitori e il peso contenuto dell’istruzione universitaria. E in futuro, il progressivo invecchiamento della popolazione e la conseguente riduzione del contingente dei giovani adulti potrebbe ulteriormente ridurre la propensione alla mobilità interna.

Ma il dato curioso è un altro: le grandi migrazioni dal Sud, quelle stile “Rocco e i suoi fratelli” che portarono da metà degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Settanta milioni di meridionali al Nord, sono ormai residuali nel panorama di mobilità nazionale. «In Italia la maggior parte degli spostamenti è di tipo intraprovinciale o al più intraregionale - spiegano Impicciatore e Strozza, che hanno prodotto un saggio sul tema (Lasciare il Mezzogiorno, Il Mulino 1/16) - : le migrazioni di lungo raggio, e in particolare quelle dalle regioni meridionali e insulari verso quelle del Centro-Nord, hanno costituito negli anni più recenti appena il 10% della mobilità interna complessiva (intesa come cambiamento di residenza da un Comune all’altro)».

Questo non vuol dire che sia scomparso il tradizionale asse di migrazione Sud-Nord. Nel periodo 1995-2013 le persone che hanno lasciato il Mezzogiorno per trasferirsi al Centro-Nord sono state 2,3 milioni, più di 120mila all’anno in media, e con saldi negativi di oltre 50mila unità. «Concentrandoci sulla cosiddetta prima generazione, e quindi escludendo tutti i discendenti, il censimento del 2011 registra quasi 3,9 milioni di individui nati nel Mezzogiorno e residenti nelle regioni centrali e settentrionali della penisola, pari al 10% della popolazione che viveva stabilmente nel Centro-Nord», spiegano i due ricercatori.

Ma oggi le migrazioni Sud-Nord non sono più legate - come negli anni del boom - agli squilibri demografici dovuti all’enorme tasso di natalità meridionale. Attualmente anzi sono alcune regioni del Sud ad avere la natalità più bassa d’Italia. L’emigrazione Sud-Nord ha così cambiato pelle e, da fuga di braccia, si è trasformata in fuga di cervelli. «Negli ultimi anni le migrazioni riguardano sempre più persone scolarizzate in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di una laurea», spiegano Impicciatore e Strozza. Sono aumentate, inoltre, le partenze dei cosiddetti studenti “eccellenti”: studi della Svimez mostrano che nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti, mentre tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%. Tutto questo sembra destinato ad aumentare ancor più il gap tra Nord e Sud, concludono i ricercatori, con il Meridione vittima di un processo di invecchiamento della popolazione ancora più intenso e preoccupante di quanto emerga nelle altre aree del Paese.

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