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Frontalieri, la strategia di Maroni: più soldi da Roma e dialogo…

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il referendum svizzero

Frontalieri, la strategia di Maroni: più soldi da Roma e dialogo col Ticino

Il referendum del Canton Ticino lo ha stabilito: il 58% dei partecipanti al voto (poco più della metà degli aventi diritto) ha espresso la volontà di dare la priorità all’impiego dei residenti piuttosto che ai lavoratori stranieri. E per stranieri si intende soprattutto i frontalieri che provengono dall’Italia, in particolare dal Piemonte e dalla Lombardia, e ancora più in particolare dalle province di Como e di Varese. Il totale fa circa 60mila famiglie italiane legate al lavoro in Svizzera.

Ora il governatore della Lombardia Roberto Maroni deve cercare di correre ai ripari, anticipando la sua prossima attività diplomatica e politica. La porterà avanti sia con il presidente della Repubblica del Ticino, Paolo Beltraminelli, sia nei confronti del premier Matteo Renzi, con cui ha già parlato questa mattina per darsi un appuntamento per la settimana prossima.

È chiaro che per Maroni la questione non lo riguarda solo come governatore, ma anche come leghista. Sebbene negli ultimi anni abbia cercato la via “moderata” per la crescita del Carroccio prendendo gradualmente le distanze dal leader Matteo Salvini, e sebbeno lo ricordiamo ancora come ministro della Repubblica italiana del governo Berlusconi, Maroni da presidente lombardo rivendica spesso il diritto dei lavoratori locali rispetto a quelli che arrivano da fuori, e spesso parla dei rischi che i lombardi corrono a causa delle masse di immigrati. Nei bandi regionali, ad esempio, viene anche privilegiata la residenza lombarda, fatto, questo, che negli anni passati ha fatto discutere. E non solo: Maroni è anche il grande sostenitore di un’indipendenza regionale rispetto allo Stato centrale, e propone per questo, a sua volta, un referendum popolare insieme a Veneto e Liguria.

Tutte cose che in queste ore possono venire rinfacciate, anche solo per provocazione politica. La battuta, del resto, viene da sola: chi di referendum ferisce, di referendum perisce.

Certo, le questioni sono diverse. Da Palazzo Lombardia viene sottolineato che un conto sono gli immigrati clandestini, un conto gli italiani con regolari documenti che vanno regolarmente a lavorare e a pagare le tasse. Un conto sono i bandi in cui si chiede un requisito di residenza, un conto la limitazione della libertà di circolazione dei lavoratori. Tutto chiaro. Ma la questione è pur sempre delicata.

Ora Maroni, come detto, agirà su più fronti. Da una parte tenterà di ricucire col Canton Ticino, uffiosamente anche valorizzando il fatto che la richiesta arriva non da una larga maggioranza, ma da una parte di quella metà che è andata alle urne.

Dall’altra chiederà a Renzi di intervenire per realizzare una Zona a economia speciale (Zes) entro 20 chilometri dal confine svizzero. Renzi intanto ha avviato il dossier per il riconoscimento di una Zes nell’area del dopo Expo di Milano.

«Questa mattina ho parlato con il presidente della Repubblica del Cantone Ticino Paolo Beltraminelli circa l’esito del referendum: ci incontreremo la prossima settima, per capire che cosa succede e, soprattutto, da parte nostra, per definire le iniziative necessarie a difendere i diritti dei lavoratori lombardi, che ogni giorno vanno a lavorare in Cantone Ticino», ha detto Maroni.

«Parliamo di lavoratori - ha poi precisato Maroni - non di immigrati clandestini. Da parte sua c’è stata la massima disponibilità - ha spiegato il governatore -, a collaborare per rafforzare i rapporti di buon vicinato tra Lombardia e Ticino. È interesse di entrambe le regioni. Da qui ad allora non cambierà nulla - ha assicurato Maroni -. Non c’è alcun impatto immediato del referendum, così come non ci fu dopo il referendum del 6 febbraio 2014, che coinvolse tutta la Confederazione».

A notare che la questione è più politica che pratica è il sindaco di Santa Maria Maggiore, nella Valle Vigezzo. Per Claudio Cottini «quello ticinese è un voto politico, segue l’aria che si respira ovunque in questo momento, ma non credo avrà ripercussioni pratiche sui nostri frontalieri. È stato un voto di pancia – sostiene ancora Cottini – ma noi che parliamo ogni giorno con gli amici ticinesi sappiamo che hanno veramente bisogno dei nostri lavoratori, perché sanno garantire un artigianato di qualità. Prendiamo ad esempio i muratori».

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