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Referendum, si vota il 4 dicembre

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RIFORME

Referendum, si vota il 4 dicembre

(Ansa)
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Il balletto delle date, 27 novembre o 4 dicembre, è finito: ieri il Consiglio dei ministri ha fatto pendere la bilancia sulla data più lontana tra le due prese in considerazione per votare Sì o No al referendum consultivo sulla riforma del Senato e del Titolo V approvata dal Parlamento ad aprile. Scontata la protesta delle opposizioni, da Fi al M5S, che lamentano di non essere state consultate per decidere la data e che giudicano strumentale la scelta del 4 dicembre per avere più tempo per la campagna elettorale («con una Rai mai così di parte», aggiunge il capogruppo di Sinistra italiana alla Camera Arturo Scotto). «La partita è adesso e non tornerà. Non ci sarà un’altra occasione», avverte invece il premier e segretario del Pd Matteo Renzi in una delle sue e-news a iscritti e simpatizzanti subito dopo il Cdm, dando così lo squillo di tromba ai suoi per l’inizio della campagna referendaria. Campagna che per Renzi partirà ufficialmente dopodomani, giovedì 29 settembre, nella sua Firenze e nello stesso giorno di otto anni fa in cui il giovane ex scout entrò in campo per le primarie a sindaco di Firenze.

«Nel merito la questione è semplice - scrive Renzi nella e-news, facendo intendere quale sarà il tono delle sue argomentazioni nel tour a tappe forzate in giro per l’Italia che si appresta a compiere nelle prossime 10 settimane -. Vogliamo superare il bicameralismo paritario sì o no? Vogliamo ridurre il numero dei parlamentari sì o no? Vogliamo contenere i costi delle istituzioni sì o no? Vogliamo cancellare il Cnel sì o no? Vogliamo cambiare i rapporti Stato-Regioni che tanti conflitti di competenza hanno causato in questi 15 anni sì o no? Questo è il quesito referendario. Così stabilito dalla legge, non dal marketing». Renzi batterà molto il tasto del taglio dei costi della politica, come ha dimostrato ieri sera durante la trasmissione del giornalista Del Debbio, Quinta Colonna, su Rete 4.

Armato di lavagna e pennarello, il premier ha elencato punto per punto i risparmi derivanti dalla riforma costituzionale: dagli stipendi dei senatori ai rimborsi dei gruppi passando per le spese dei funzionari fino al “tetto” agli stipendi dei consiglieri comunali e all’abrogazione definitiva delle Province: totale, 500 milioni di euro. Quanto alle conseguenze politiche di una vittoria del No, spersonalizzazione a parte, sono presto dette: «Vogliamo avere un Paese più stabile e più semplice o vogliamo tornare alle bicamerali D’Alema-Berlusconi o consegnarci a una strana forma di democrazia diretta in cui una srl di Milano controlla la democrazia interna di uno dei più grandi partiti del Paese e si lega ai propri amministratori da contratti privati con tanto di penali da pagare?». Insomma, se vince il No torneremo all’”inciucio” D’Alema-Berlusconi o faremo un salto nel buio con i Cinque Stelle...

In realtà la possibilità che vinca il No è stata alla base della scelta di allontanare il più possibile la data del referendum. Come già sottolineato a luglio dal Sole 24 Ore, sulle decisione di Renzi hanno pesato le preoccupazioni del Capo dello Stato Sergio Mattarella riguardo alla legge di Bilancio, da mettere al riparo dallo “shock” che deriverebbe appunto da un’eventuale vittoria del No. E la scelta del 4 dicembre invece che del 27 novembre permetterà di approvare la legge di Bilancio a Montecitorio e anche in commissione Bilancio del Senato: basterebbe a quel punto il voto conforme dell’Aula di Palazzo Madama. La scelta è dunque maturata da queste considerazioni, in accordo con il Quirinale. E nella serata di domenica Renzi ha informato Mattarella del suo orientamento definitivo.

Certo, una settimana in più per «entrare nel merito» e far conoscere i contenuti della riforma ai tanti indecisi o non informati (circa la metà degli elettori) potrà aiutare a far crescere l’affluenza e in questo senso sostenere il Sì. C’è poi un’altra concomitanza che è stata presa in considerazione a Palazzo Chigi nella scelta della data: domenica 4 dicembre si ripeteranno le elezioni presidenziali in Austria, annullate per vizi di forma, con il rischio che stavolta a vincere possa essere l’ultradestra xenofoba e antieuropea. Ecco, il contemporaneo voto austriaco darà al voto referendario un respiro europeo più marcato. E lo “spettro” dei populismi potrebbe diventare un valido argomento in favore del Sì non solo alla riforma, ma anche alla stabilità contro l’incognita del salto nel buio.

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