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Trent’anni di Dylan Dog: 10 argomenti semiseri per spiegare un…

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FUMETTomania

Trent’anni di Dylan Dog: 10 argomenti semiseri per spiegare un successo mostruoso

Nel settembre del 1986, esattamente 30 anni fa, usciva per Sergio Bonelli Editore il primo albo di «Dylan Dog», l'indagatore dell'incubo concepito dal genio di Tiziano Sclavi che avrebbe rivoluzionato il panorama dei nostri comics. Tra il serio e il faceto, proviamo a riassumere in dieci argomenti le ragioni del secondo maggiore successo - dopo Tex - della storia del fumetto italiano.

1) Vulnerabile è l'eroe più di ogni cosa
Lasciate perdere gli eroi senza macchia e senza paura, i cavalieri della valle solitaria che cavalcano sempre dalla parte del giusto, i grandi poteri che si portano dietro le grandi responsabilità. Dylan Dog non è Superman, non è Spiderman e nemmeno Tex: non ha la vista a raggi x, la verità in tasca e la diversità etica del buono da fumetto tradizionalmente inteso. Ha intuito, grande curiosità e certe volte pure una fifa matta che non ti aspetteresti mai da uno che indaga tra zombie e lupi mannari. È uomo di talento, ma soprattutto uomo: vulnerabile e fallace. Uno così sembra fatto per entrare subito in sintonia col pubblico della «generazione x» che tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta era in età da fumetti.

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2) Non è vero, ma ci credo
Eggià: Dylan Dog si muove tra zombie, lupi mannari, streghe e mostri di varia specie. Un contesto horror nel senso classico del termine, da mettere in crisi i lettori più razionali che non si berrebbero mai tutto questo armamentario da filmaccio della Hammer Productions. Se non fosse per un fatto: Dylan è il primo a non credere a quello che vede, a metterne in dubbio la veridicità, a non spiegarsi annessi e connessi di tutta quella fiera delle mostruosità. Avete presente l'adagio «non è vero, ma ci credo»? Qui è un po' l'opposto: non ci credo, ma è vero (almeno mi sa).

3) One shot, one story
Il fumetto italiano tradizionalmente inteso – Tex, per capirci – si struttura spesso e volentieri su trame-fiume, «puntate» che ti rimandano puntualmente al mese successivo, avventure che si prendono tre o quattro albi per esaurirsi. Il bello di Dylan Dog era che, tranne rare eccezioni, un albo era uguale a un'avventura. E la lettura si faceva particolarmente agile.

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4) L'«enciclopedia» del brivido
C'è poi un aspetto che piace molto agli amanti di letteratura e cinema horror: Dylan Dog si pone costantemente in posizione dialettica con l'immaginario collettivo creato dai maestri del genere di ieri e di oggi, da Poe e Lovecraft come da Stephen King, a George Romero, passando per Sam Raimi e Mario Bava. C'è «L'alba dei morti viventi» e «Jekyll!», «Jack lo squartatore» e «I conigli rosa uccidono» che, come titolo, ricorda suggestioni tipo «Non si sevizia un paperino». Più che un fumetto: un'enciclopedia del brivido.

5) Il mio albo cita il pop
Dylan Dog è una lettura dannatamente stimolante. In un albo, tu adolescente con una certa curiosità per le arti, trovavi dosati con sapienza riferimenti alla cultura alta e a quella popolare. La copertina di «In the Court of the Crimson King» poteva diventare un quadro appeso alla parete, la vita e la morte venivano spiegate con una canzone degli Everly Brothers o una frase di John Lennon, l'Inferno di Dante non era poi un posto così lontano e all'improvviso ti trovavi a camminare in un quadro di Magritte. E poi Londra – e che Londra! – come set delle avventure del Nostro, in un tripudio di citazioni pop. Vissute a bordo di un Maggiolone.

6) Groucho, «facce ride'!»
Saremo di parte, perché il personaggio in questione ci sta terribilmente simpatico, ma siamo convinti che gran parte del successo dell'indagatore dell'incubo sia dovuto allo spessore del suo maggiordomo-spalla che si chiama Groucho, ha l'hobby della comicità nonsense ed è una specie di reincarnazione di Groucho Marx. Davanti a un'orda spirante rabbia di cattivoni che vogliono metterci sotto terra, una risata ci seppellirà: quella delle sue battute demenziali. E allora Gorucho, «facce ride'!».

7) «'O famo strano?»
Per decenni sulla sfera privata degli eroi dei fumetti c'è stato il più stretto riserbo. Niente sesso, siamo personaggi positivi, pensati per la «gioventù» (ovviamente è una regola che prevede le sue belle eccezioni underground). Tex, si diceva, va a donne tra un'avventura e l'altra. Ebbene, Dylan si portava a letto con una certa disinvoltura le ragazze che incontrava. Era single, un uomo libero, anche di flirtare con la morte in persona, se se ne presentava l'occasione. E la cosa intrigava parecchio noi adolescenti di fine anni Ottanta, inizio Novanta.

8) Com'è profondo il writer
Poi ci sono avventure di Dylan Dog che hanno spostato più in alto l'asticella del fumettisticamente lecito. Nel senso di scandalizzare? Peggio: nel senso di far pensare. Prendiamo a «Johnny Freak», apologo non convenzionale sulla disabilità, oppure «Mater Morbi», riflessione sulla condizione della malattia. Opere di fronte alle quali ti viene da dire: com'è profondo il writer.

9) La Nouvelle Vague del fumetto italiano
Per ottenere grandi risultati serve una grande squadra. Dietro il successo di Dylan c'è stata una specie di Nouvelle Vague del fumetto italiano fiorita in casa Bonelli: lo sceneggiatore Tiziano Sclavi, certo, «papà della rivoluzione», ma anche disegnatori come Claudio Villa e Angelo Stano, e più avanti Bruno Brindisi e Andrea Venturi, fino a Pasquale Ruiu.

10) Mi chiamo Dylan Dog
Qualcuno diceva che un nome efficace è un ottimo presupposto per creare un eroe dei fumetti di successo. Con Dylan Dog l'assunto vale eccome. Il nome è Dylan, come il poeta Dylan Thomas o l'ideologo degli anni Sessanta Bob Dylan, o addirittura, per ironia della sorte, come il bello e dannato della serie tv «Beverly Hills 90210» che negli anni Novanta farà impazzire le ragazzine. Dog come cane, come hot dog, forse il primo cibo globalizzato al mondo, come l'«Hound Dog» del giovane Elvis Presley o il «Black Dog» dei Led Zeppelin all'apice. Mischiare l'alto con il basso: la ricetta infallibile di ogni capolavoro pop.

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