
«Inutile e devastante» ha detto domenica scorsa Piercamillo Davigo a proposito della riforma del processo penale, che sta mettendo in crisi il governo. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando gli ha risposto per le rime, rinfacciandogli un dossier dell’Anm nel quale «metà delle proposte sono già contenute nel testo in discussione al Senato». «Non erano quelle le richieste dell’Anm - ha controbattuto Davigo -. Un conto è l’elenco delle cose da fare, un altro conto è “come” si fanno. E quello fatto finora dal governo non basta».
Le critiche di Davigo, che presiede l’Anm da sei mesi circa, non sono un fulmine a ciel sereno, anche se come un fulmine sembrano aver colpito il premier Matteo Renzi sulla via di Damasco, facendogli rimangiare la sia pur piccola apertura sulla fiducia, fatta martedì notte al Consiglio dei ministri, per far uscire dall’angolo il Ddl di riforma, frutto di un difficile, ma a quanto pare precario, accordo di maggioranza. Le obiezioni dell’Anm al Ddl (che al Senato ha inglobato quello sulla prescrizione) risalgono infatti alla prima stesura del governo e sono state rinnovate dopo il primo via libera della Camera, un anno fa. Per esempio, quelle sulla cosiddetta “indagine breve”, cioè sulle norme che impongono alle Procure di chiedere, entro tre mesi dalla chiusura delle indagini, il rinvio a giudizio o l’archiviazione, pena l’avocazione dell’indagine da parte del Pg d’appello, e che sanzionano disciplinarmente il ritardo nell’iscrizione della notizia di reato. Un sistema che, a tacer d’altro, secondo l’Anm non potrà funzionare anche per l’enorme carico di lavoro delle Procure, tanto più a fronte della carenza di personale (mancano 9mila cancellieri) e di magistrati (ne mancano mille). Altro fronte, questo, aperto con il governo e destinato a surriscaldarsi: domani l’Anm ha infatti convocato a Roma tutti i capi degli uffici giudiziari per lanciare l’allarme «paralisi» degli uffici proprio a causa della carenza di personale, che ha raggiunto «livelli inaccettabili, con effetti negativi su ogni aspetto della giurisdizione», civile e penale; quindi anche sulla prescrizione dei reati, tema su cui Davigo non ha mai risparmiato critiche al governo, insistendo sulla necessità di interromperne il decorso dopo il rinvio a giudizio o, al massimo, dopo la condanna di primo grado. Soluzione esclusa dall’accordo di maggioranza. Che ha escluso anche la possibilità di estendere da tre a sei mesi la durata dell’«indagine breve».
Dopo mesi di apparente tregua, negli ultimi giorni Davigo è quindi tornato all’offensiva su questi e altri aspetti della riforma «inutile e dannosa». «In Italia - ha detto venerdì scorso durante la tradizionale tre giorni di InsolvenzFest organizzata dall’Osservatorio sulle crisi di impresa (Oci) a Bologna - la giustizia non fa paura a chi viola la legge. Manca una politica fondata sul concetto di deterrenza. Basti pensare che circa il 100% delle sentenze viene appellato mentre in Francia lo è solo il 40% perché lì non c’è il divieto della reformatio in peius». Troppo timide, quindi, le modifiche della riforma in tema di appello. Inutili anche quelle in materia di corruzione, dove secondo Davigo occorrono misure più incisive per far emergere il malaffare. «Bisogna estendere la disciplina sui pentiti e prevedere, non uno sconticino di pena per chi collabora, ma l’impunità totale» ha affermato sempre a Bologna, insistendo anche sull’introduzione delle operazioni sotto copertura.
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