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Con tagli veri un primo colpo alla deflazione

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L'Editoriale|Politica economica

Con tagli veri un primo colpo alla deflazione

Era nell’aria da un paio di mesi, dopo due anni e mezzo di guerra aperta fra i due principali membri, Iran e Arabia Saudita. L’accordo, ragione di esistenza di un cartello, finalmente è arrivato, anche se ci è voluto molto, ma l’iter è stato in linea con quanto accaduto nei precedenti periodi di prezzi bassi, nel 1986, nel 1988, nel 1999.

Le profonde distanze politiche, di fronte a esigenze di cassa, sono colmate da un pragmatismo maturato in oltre 40 anni di scontri che alla fine porta a un obiettivo comune: vendere il barile a un prezzo più alto. Come nei 54 accordi precedenti, il primo del 1982, motivi di scetticismo ce ne sono parecchi. In realtà si tratta di un pre-accordo, in vista della riunione di novembre, dove dovrebbe essere deciso un tetto fra 32,5 e 33 milioni barili giorno.

Sarebbe, in questo caso, più un congelamento sugli attuali livelli di produzione di 33,5 e non un taglio, come sarebbe necessario. Attualmente il Brent a 48 dollari è ancora meno della metà di quello di inizio 2014, quando era in vigore il tetto di 30 milioni fissato nel 2011. Avessero avuto la determinazione di riproporre e rispettare quella quota, i prezzi sarebbero saliti di nuovo a 100. Per risolvere l’eccesso di petrolio accumulato in questi due anni di disinteresse saudita, sarebbe necessario almeno un taglio verso 32.

Di nuovo c’è un maggiore coinvolgimento della Russia che, tuttavia, deve ancora essere provato. Sarà pur debole il pre-accordo, ma rappresenta un punto di svolta: i sauditi hanno smesso di puntare alla quota di mercato e ciò allontana lo spettro di prezzi sotto i 30 dollari. Per una ripresa più sostenuta verso i 60 dollari occorre attendere il 2017, quando la crescita della domanda assorbirà le scorte, mentre la produzione al di fuori del cartello rimarrà stabile.

I prezzi alla pompa in Europa del gasolio e della benzina, i due prodotti più importanti, saliranno di circa 10 centesimi. In Italia il gasolio diesel aumenterà dagli attuali 1,3 euro per litro a 1,4 euro, mentre la benzina passerà da valori odierni di 1,45 a 1,55, livelli ancora parecchio inferiori rispetto ai picchi di inizio 2012 rispettivamente a 1,8 e 1,9 euro per litro. Il petrolio trascinerà al rialzo anche il gas naturale e, a seguire, visto il suo utilizzo nelle centrali, anche l’elettricità. È ipotizzabile in Italia un aggravio delle bollette elettriche e del gas dell’ordine di 50 € all’anno per famiglia tipo su una spesa complessiva di 1.500 € l’anno, incrementi annuali dell’ordine del 2%.

Per l’industria gli aumenti saranno sia sul prezzo dell’elettricità che su quelli del gas, mentre risentiranno, attraverso i costi di trasporto, anche dell’aumento del diesel. In sostanza il petrolio smette da oggi di iniettare pressioni deflazionistiche, mentre dal 2017 dovrebbe finalmente aiutare a riportare inflazione. Prezzi più alti porteranno benefici a quelle economie che stanno soffrendo troppo negli ultimi anni e che hanno causato il rallentamento globale. Tutto il Medio Oriente, al di là della crisi politica, ha bisogno di più entrate da petrolio, per far ripartire quella ricostruzione a cui si potrà agganciare il manifatturiero europeo, fra cui in prima fila spicca quello italiano.

Discorso simile riguarda la Russia che, peraltro, è a noi molto più vicina e che per il secondo anno consecutivo è in recessione proprio per i bassi prezzi del greggio. Le sue esportazioni di energia, quasi totalmente gas e petrolio, contano per il 18% del Pil complessivo. Più crescita significherà migliori occasioni di pace con l’Ucraina, allentamento delle sanzioni e più importazioni dall’Europa, fra cui quelle di mele e di metalmeccanica dall’Italia. Negli Usa aumenterà di nuovo la produzione di petrolio non convenzionale a beneficio dell’intera economia. In Sud America, Paesi sull’orlo del collasso, come Brasile, Ecuador e Colombia, o già collassati come Venezuela, potranno contare su una migliore valorizzazione delle loro esportazioni di petrolio e aiutare la ripresa di tutto il Sud America.

Più importante nel medio termine è il probabile recupero degli investimenti in progetti di esplorazione e sviluppo di nuovi giacimenti di gas e petrolio che, invece, dal 2014 al 2016 sono stati quasi dimezzati a meno di 400 miliardi di dollari. Mai in passato si era visto un simile crollo. Da una parte una loro ridarà fiato ad un settore trainante per molti Paesi e importante anche per l’Italia, per aziende dell’ingegneria e della metalmeccanica. Dall’altro occorre prepararsi per il prossimo periodo, verso il 2018, quando la domanda, che cresce stabilmente, come fosse un motore diesel, con più di 1,4 milioni barili al giorno, verrà seguita con lentezza dall’offerta, su cui oggi non si investe. Allora l’Opec non farà tutta la fatica che fa oggi per sostenere le quotazioni.

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