Riduzione del deficit strutturale, come richiesto dalle regole europee (lo 0,5% del Pil ogni anno fino al raggiungimento del pareggio di bilancio), e andamento del debito pubblico, non in linea con il tragitto previsto in maggio, quando la Commissione europea ha autorizzato circa 14 miliardi di flessibilità per il 2016, in aggiunta ai 5 miliardi concessi nel 2015. Su questi due fronti verterà il confronto con Bruxelles, da qui a novembre quando l’esecutivo comunitario dirà la sua sulla legge di bilancio per il 2017. Terreno di confronto scivoloso per noi, poiché alla luce della Nota di aggiornamento approvata due sere dal Consiglio dei ministri, il nuovo target di indebitamento netto per il 2017 è fissato al 2% rispetto al precedente 1,8%. Ne consegue che l’indebitamento strutturale (al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum) viene fissato all’1,2 per cento. Un livello che risulta invariato rispetto al 2016, con l’aggiunta di 0,9 punti percentuali necessari per disinnescare le clausole di salvaguardia (aumento di Iva e accise per 15,1 miliardi). Il nuovo obiettivo – segnala la Nota di aggiornamento del Def – richiederà una manovra per il 2017 pari allo 0,5% del Pil. Sarà la legge di Bilancio a indicare come farvi fronte. Confronto aperto con Bruxelles, dunque, poiché nelle raccomandazioni approvate in maggio la Commissione Ue invitava il Governo, a fronte di un peggioramento del saldo strutturale per il 2016 dello 0,7%, a operare una correzione pari allo 0,6% del Pil. E si segnalava come il Governo si fosse impegnato a realizzare una correzione dello 0,1%, che ora non compare nei nuovi saldi. Quanto al debito, la revisione del quadro macroeconomico non rende possibile rispettare l’impegno, contenuto nel Def di aprile e confermato in maggio, a centrare l’obiettivo dell’avvio della riduzione in rapporto al Pil già da quest’anno. La causa è da attribuire alla minore crescita a all’andamento dell’inflazione, prossima allo zero. Il quadro aggiornato vede ora il debito del 2015 ridursi, in seguito alla revisione operata dall’Istat, dal 132,7 al 132,3% del Pil. Per l’anno in corso – ed è qui che si concentra il problema – il debito è indicato in rialzo dal 132,4 al 132,8 per cento. Pesano anche i minori introiti da privatizzazioni, non in linea con le attese. Solo nel 2017 il debito dovrebbe iniziare a scendere al 132,5%, per attestarsi al 126,6% nel 2019. Formalmente, dunque – stante l’attuale quadro di regole europee – l’Italia potrebbe essere sottoposta a procedura d’infrazione per eccesso di squilibri macroeconomici. Probabilmente non avverrà, per motivazioni che attengono all’attuale congiuntura politica europea, con le tre principali economie alla prese con altrettanti, fondamentali passaggi elettorali: il referendum confermativo della riforma costituzionale in Italia del 4 dicembre, le elezioni politiche in Francia e Germania (aprile e ottobre). Non per questo si potrà abbassare la guardia, poiché la riduzione del debito resta obiettivo prioritario. E la strada maestra si conferma una sola: agire con forza sul “denominatore”, dunque sul Pil.
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