Volontarietà. Basta una parola per raccontare le ristrutturazioni del settore bancario degli ultimi anni. Se consideriamo l’ultimo decennio parliamo di oltre 40mila lavoratori che sono usciti dalle banche, a cui dobbiamo aggiungerne altri 20mila entro il 2020. Non uno di questi che sia uscito in maniera obbligatoria. Se parliamo del futuro ogni stima sarebbe spannometrica e avventata, soprattutto perché non siamo a conoscenza dei piani dettagliati di molti istituti che li dovranno presentare nei prossimi mesi.
Certamente, come ha spiegato ieri il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, sono inevitabili gli interventi sul personale. Di questo sono tutti consapevoli, anche i sindacati che in questi anni si sono ritrovati a gestire molte migliaia di uscite. Sempre attraverso il Fondo di solidarietà di settore, uno strumento unico, finanziato da banche e lavoratori, che viene utilizzato per gestire le ristrutturazioni attraverso prepensionamenti volontari. Uno strumento di cui Abi e i sindacati rivendicano il valore, così come i costi altissimi.
Recentemente la durata della permanenza sul fondo di solidarietà per chi va in prepensionamento è stata allungata da 5 a 7 anni, come previsto dal decreto banche emanato dal Governo a fine aprile di quest’anno. Solo che il Fondo di solidarietà è uno strumento costosissimo per le banche e non sono state stanziate risorse per coprire l’allungamento. Certo è che il fondo, diventato operativo nel 2000, ha fatto sì che in questi anni le banche fossero totalmente autonome nella gestione delle ristrutturazioni - per la parte riguardante le risorse umane - e non pesassero sui conti pubblici. Come ha ricordato poco tempo fa il presidente del Casl di Abi, Eliano Omar Lodesani, «le banche, in modo proattivo, insieme ai sindacati hanno gestito diversi “momenti difficili” anche per il nostro paese, cercando di contenere l’impatto sociale nel rispetto delle persone e delle loro famiglie. A mio avviso, indicando una strada percorribile anche da altri».
Adesso, in un momento in cui a poco a poco sta risalendo la tensione e si riaffaccia il tema delle ristrutturazioni, «è giunto il momento di rifondare un Patto per il Paese, che inizi dalle persone per il benessere di tutti», osserva Lodesani. L’Abi a questo proposito si è detta pronta a sedersi immediatamente con il Governo e i sindacati per fondare un nuovo patto sociale. Non è un tema facile, per l’intreccio di molte particolarità. La prima è che nel settore del credito, per esempio, non si è mai fatto ricorso alla cassa integrazione. E a nominarla le numerose sigle sindacali si mettono subito sulle barricate perché il patto su cui è stata fondata la pace sociale nel credito è l’assenza di forme di coercizione e di obbligo su eventuali esuberi. «Tre i nostri punti cardinali: volontarietà dei prepensionamenti, una banca moderna al servizio dei territori e una decurtazione di almeno il 30% degli alti stipendi dei manager», dice il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Sulla stessa lunghezza d’onda Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil: «Chiunque parli di licenziamenti o di uscite coercitive del personale dal nostro settore troverà la nostra contrarietà, la nostra opposizione, la mobilitazione di tutto il sindacato»; e Massimo Masi, segretario generale della Uilca: «Gli eventuali esuberi dovranno essere gestiti in forma esclusivamente volontaria, attraverso il nostro Fondo di solidarietà, come da nostra proposta».
Tra gli strumenti ad hoc quindi, a meno di non voler innescare forti tensioni - va ricordato che i bancari sono una delle categorie più sindacalizzate - non potranno esservi gli ammortizzatori usati per altri settori e tantomeno la Naspi che i sindacati non vogliono sentir nominare perché significherebbe stati di crisi. Quando si parla di Naspi, però, le banche ricordano di aver versato per l’indennità di disoccupazione circa 10 miliardi. Chiedono di poterle utilizzare, in modo solidaristico, ovvero senza licenziamenti. E qui però i sindacati confederali non sposano la linea. L’uscita di un comparto dalla contribuzione agli ammortizzatori sociali generali aprirebbe all’uscita anche di altri settori e si rischierebbe di rompere i legami di solidarietà col resto del mondo. Se però le banche chiedono di usare la Naspi perché si trovano a fronteggiare una fase di ristrutturazione e i sindacati considerano la Naspi e la cassa integrazione due tabù, allora nel patto a tre con Governo, Abi e sindacati, la risposta che ci si aspetta dal Governo è evidentemente lo stanziamento di risorse pubbliche in legge di Bilancio per gli ammortizzatori sociali. Ad hoc per il settore bancario.
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