«Noi non prendiamo l’iniziativa di una nuova legge elettorale ma diamo la disponibilità vera, sostanziale, puntuale con gli altri partiti politici a andare a vedere le carte». Di buon mattino a Radio Popolare il premier segretario Matteo Renzi smentisce fughe in avanti del suo partito sull’Italicum, ventilate il giorno prima. Ma, a due mesi dal referendum sulle riforme costituzionali, conferma la disponibilità al confronto: all’interno del Pd, dove le anime continuano a essere divise, ma non solo.
Si prende tempo soprattutto per capire l’orientamento delle altre forze politiche, perché i democratici sanno bene che soli - al Senato in particolare, dove i numeri della maggioranza sono più che esigui - non si va da nessuna parte. Dando per scontata l’impossibilità di raggiungere qualsiasi accordo con il M5S, serve almeno il sostegno di una parte di Forza Italia, dove i duri e puri come Renato Brunetta e Maurizio Gasparri continuano a sbarrare la porta a ogni dialogo sulla legge elettorale prima del referendum. Renzi «è inaffidabile e inattendibile», afferma Gasparri: «Aveva messo la fiducia su questa legge che poi lui stesso ha ammesso essere spazzatura. Noi oggi non abbiamo interesse ad infilarci in una discussione che gli servirebbe per far credere all’esistenza di un inciucio». «Mai più al tavolo con un baro», tuona Brunetta.
La direzione dem convocata per il 10 ottobre sarà comunque il primo appuntamento per fare il punto sulle diverse proposte in campo e sondare la possibilità di ricompattare il partito sul sì al referendum. Per ora quella più gradita a Palazzo Chigi prevede ritocchi non sostanziali: non toccare il ballottaggio, ma consentire apparentamenti tra partiti e un premio di coalizione al secondo turno e abolire le candidature plurime, che erano state introdotte su richiesta dei partiti più piccoli. Tra le ipotesi al vaglio, proposte da Dario Parrini, anche quella di eliminare i capilista bloccati e inserire i collegi uninominali del “Provincellum” dove c’è un solo candidato per partito, senza preferenze. Uno schema irriso dai Cinque Stelle («Renzi vuole Ammucchiatellum per farci perdere», sintetizza Danilo Toninelli) ma che potrebbe interessare gli azzurri. Se così fosse, non si esclude l’idea di incardinare in commissione Affari costituzionali alla Camera una modifica all’Italicum prima del 4 dicembre, dando mandato al relatore di presentare un testo base.
Ma la strada è impervia. La minoranza Pd è divisa. I bersaniani guidati da Roberto Speranza restano convinti che l’Italicum vada abbandonato per introdurre il doppio turno di collegio o abbracciare il Mattarellum 2.0, basato sull’elezione di 475 deputati in collegi uninominali a turno unico e altri 143 assegnati così: 90 come “premio di governabilità” alla prima lista o coalizione, con un limite di 350 deputati; 30 alla seconda lista o coalizione; 23 divisi tra chi supera il 2% e ha meno di 20 eletti. «Rifiutiamo il ballottaggio nazionale che configura uno schema di sindaco d’Italia», spiega il senatore Miguel Gotor, che si è già esposto per il no al referendum. «Darebbe vita a un governo di larghissima minoranza». Anche i cuperliani di Sinistra dem si oppongono al ballottaggio nazionale, ma sarebbero “ammorbiditi” dai collegi uninominali e non osteggiano il premio di maggioranza. Recuperare almeno loro sul sì sarebbe già un successo. Senza un passo indietro sul ballottaggio, invece, già dopo la direzione Speranza potrebbe ufficializzare la posizione dei suoi sul no.
Il premier ieri ha di nuovo ammesso di aver fatto «un errore all’inizio a personalizzare il referendum» (sbaglio contro cui si è scagliato da ultimo il presidente emerito Giorgio Napolitano). «Ma qualcun altro persevera, è interesse di altri buttarla sul governo», ha detto Renzi. Continuando a difendere la riforma costituzionale e inciampando in un nuovo scontro con Massimo D’Alema. «I poteri del premier cambiavano con la riforma di D’Alema e di Berlusconi, ora non c’è un potere in più per il premier », ha osservato. Suscitando la replica piccata dell’ex presidente del Consiglio: «La riforma del titolo V fu fatta sotto la presidenza di Giuliano Amato, capisco che Renzi non voglia nominarlo perché è membro della Corte Costituzionale e se la prende con me, ma i fatti sono inconfutabili». Sui sondaggi che ieri davano il no in vantaggio. il premier ha invitato alla cautela: « Il 50% degli italiani non ha ancora deciso, ed è pazzesco. La partita è aperta». Per questo il vicesegretario dem Lorenzo Guerini ha incalzato: «Più si discuterà nel merito della riforma costituzionale più i sondaggi miglioreranno».
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