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Dossier La «nuova» supplenza della magistratura invocata dalla politica

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Dossier | N. 118 articoliReferendum costituzionale

La «nuova» supplenza della magistratura invocata dalla politica

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Anche la battaglia politica sul referendum fa tappa nelle aule del tribunale. Ieri i 5 Stelle e Sinistra italiana hanno presentato un ricorso al Tar del Lazio sul testo del quesito per la sua presunta illegittimità e, a questo punto, saranno i magistrati a dirimere uno dei tanti duelli tra i sostenitori del “sì” e del “no”. Vedremo come finirà ma quello che colpisce è che questo è l’ennesimo episodio di una storia nuova tra politica e toghe. In cui la politica appare decisamente soccombente. Non tanto per le decisioni che ha assunto e assumeranno i giudici ma per la facilità con cui i partiti vanno a bussare dalla magistratura. Come se non avessero abbastanza legittimità e forza per portare avanti le loro battaglie. Per renderle credibili.

Scorrendo queste ultime settimane sono tanti gli esempi. Lo scambio di querele tra la Raggi e Renzi su “Mafia Capitale”, la ricerca spasmodica di un assessore al Bilancio di Roma tra gli ex magistrati della Corte dei Conti, il ricorso a Raffaele Cantone come l’oracolo definitivo di mille controversie, le più diverse. E pure la riforma della giustizia su cui il Governo e il Parlamento si fermano in attesa del via libera dell’Anm. Insomma, un lungo elenco di supplenza invocata, addirittura rincorsa dalle stesse forze politiche.

Molti anni fa, ai tempi di Tangentopoli, si parlò di una supplenza di fatto della magistratura provocato dal crollo del sistema dei partiti per le inchieste sulla corruzione e il malaffare. Era più di vent’anni fa e in quella stagione finì la storia di alcuni partiti e si aprì quella di Silvio Berlusconi. Il cui punto forte del programma era proprio il braccio di ferro con la magistratura. Sono seguite legislature di leggi ad personam e di riforme tentate sulla giustizia, di scontri continui. Oggi si apre un nuovo capitolo.

Che non sempre è dovuto alle inchieste giudiziarie, che non nasce dallo scontro di due poteri dello Stato ma che viene sollecitato dalla stessa politica che non ce la fa a compiere il suo dovere. Non ce la fa nella selezione della classe dirigente e sfoglia curricula di magistrati a riposo. Non ce la fa nelle scelte finali sulle leggi o le riforme e chiede soccorso ai giudici. E ne ha bisogno perfino per mettere il timbro di validità sui contratti della pubblica amministrazione. Si avventura invece con liste di impresentabili in alcuni casi smentite dalle sentenze.

Renzi ha sbandato tra giustizialismo e garantismo ed è passato dall’attacco sulle ferie dei magistrati all’invocazione del consenso del presidente dell’Anm Davigo sulla riforma della giustizia penale. Perfino i 5 Stelle che hanno proposto l’immagine più cristallina del rapporto con la magistratura oggi, nella vicenda Muraro, si dividono sul dilemma se l’avviso di garanzia pesi o no nella fiducia dell’assessore di Roma. La destra insiste nella sua battaglia: Salvini ha definito qualche mese fa la magistratura italiana una «schifezza» salvo poi invitare i suoi elettori a votare i grillini che hanno una posizione opposta sulla giustizia.

A distanza di anni resta l’ambiguità. Non c’è ancora una linea di equilibrio perchè la politica non ce la fa a riprendersi il suo ruolo per intero. E le sue responsabilità.

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